Il 23 novembre 2013 coinciderà con il 50º anniversario dalla morte di Ettore Guizzardi, un budriese capace di opporsi alle avversità della vita e di iscrivere il proprio nome nel ristretto novero degli eroi del ‘900.
Per accostarsi, nel miglior modo possibile, alla storia di Guizzardi è necessario abbandonare qualsiasi visione lineare dell’esistenza e della sue dinamiche. La grande avventura intrapresa da Ettore scaturisce dall’accostamento, quasi beffardo, tra una tragedia insopportabile ed un incontro imprevedibile, che permetterà al nostro concittadino di esprimere il suo talento.
I PRIMI ANNI A BUDRIO E LA TRAGICA MORTE DEL PADRE
Ettore Guizzardi nasce a Budrio, in via della Pieve, il 16 gennaio 1881. Il padre sceglie di far avvicinare progressivamente il figlio – per qualche anno impegnato come apprendista fabbro alla Pieve di Budrio – al suo stesso mestiere in ferrovia. Poter contare su un lavoro sicuro è il presupposto fondamentale per dare slancio al proprio percorso umano. Enrico (il padre) offre ad Ettore numerosi insegnamenti, che rispetterà per sempre. Entrambi lavorano fianco a fianco sulle locomotive di treni che percorrono buona parte della penisola italiana. Enrico (come macchinista) ed Ettore (come fuochista) formano una coppia molto affiatata, il loro rapporto è affettuoso e professionale allo stesso tempo.
Nel 1897, il giovane Guizzardi viene assunto in modo ufficiale e la famiglia non nasconde la gioia per il risultato ottenuto. Nel breve volgere di alcune settimane, una tragedia sconvolge la vita di Ettore: ad Albano, vicino a Roma, il treno su cui lavorano i Guizzardi deraglia rovinosamente, causando la morte del macchinista (Enrico) ed il ferimento del fuochista (Ettore). Gli abitanti del luogo accorrono, richiamati dal frastuono. Tra le persone assiepate nei pressi dell’incidente, compare il Principe Scipione Borghese che – dalla sua villa a poche centinaia di metri di distanza – giunge, quasi senza fiato, sul luogo del disastro ferroviario. Il Principe rimane folgorato dalla visione del giovanissimo fuochista (non ancora sedicenne) ferito al volto e svenuto per il trauma subito. Il nobile agisce d’impulso e, guidato da una grande umanità, decide di portare Ettore, ancora privo di sensi, nella propria dimora.
UNA PASSIONE SENZA CONFINI
Dopo aver offerto le cure necessarie al giovane budriese, il Principe gli propone di rimanere al suo fianco: nasce così un rapporto destinato a condurre entrambi alla ribalta planetaria. Ettore resta affascinato dall’automobile (una delle prime a benzina) di proprietà di Scipione Borghese ed inizia a studiarla in modo accurato. Le competenze meccaniche, acquisite dal padre, lo aiutano nelle sue indagini quotidiane. Borghese, stupito ed ammirato dall’insospettabile talento di Guizzardi, organizza un viaggio da Roma all’Ungheria meridionale (dove si trova un castello abitato da dei parenti della famiglia) per mettere alla prova le capacità di Ettore. Il risultato è impressionante: il giovanotto dimostra una sensibilità tecnica sopraffina ed una grande qualità di guida. La tenacia e l’umiltà completano la personalità di Guizzardi e convincono Scipione a mandarlo a lavorare negli stabilimenti della FIAT di Torino e poi nei canteri Ansaldo di Genova, dove studia meccanica navale. La preparazione di Ettore si arricchisce di altre esperienze in numerosi opifici. Al termine della formazione, Guizzardi ottiene la patente di meccanico e torna ad occuparsi delle automobili del Principe, che nel frattempo sono aumentate di numero. Il nostro concittadino ribadisce la sua predisposizione, rafforzata da una passione sconfinata: nel breve volgere di alcuni anni, si prende cura di ben undici vetture ed estende le proprie attenzioni a tutte le macchine (di illuminazione, di riscaldamento) di proprietà del nobile nato a Migliarino (Pisa). Nell’officina a lui riservata, Guizzardi dà libero sfogo ad una notevole dote inventiva: la sperimentazione costante e la possibilità di confrontarsi con numerosi mezzi meccanici rendono Ettore uno degli uomini più preparati in Italia.
Durante la stagione estiva, il budriese viene convinto dal Principe a seguire tutta la famiglia ad Isola del Garda per concedersi un periodo di riposo. Ettore accetta – non senza qualche perplessità, legata al suo inscindibile rapporto con l’attività quotidiana – e sulle rive del Garda conosce Carmelina Cartasso, che il 5 novembre 1906 diviene sua moglie.
IL RAID PECHINO-PARIGI
Il giornale francese Le Matin (all’inizio del mese di febbraio 1907) propone una sfida a dir poco ardita: «C’è qualcuno che accetti di andare, nell’estate prossima, da Pechino a Parigi in automobile?». L’idea scaturisce da due premesse fondamentali: la prima riguarda la volontà di analizzare le reali potenzialità del nuovo mezzo meccanico; la seconda ruota attorno ad una disputa annosa tra chi giudica più adatte, ad un percorso denso di tratti impervi ed accidentati, automobili leggere e poco potenti e chi predilige vetture molto potenti anche se più pesanti.
La proposta non rimane inascoltata e ben venticinque contendenti si iscrivono alla corsa. Tra questi spicca il Principe Borghese (unico italiano) che per la sua essenziale fermezza e laconicità – «M’inscrivo alla vostra prova Pechino-Parigi con un’automobile Itala. Vi sarò grato se vorrete farmi sapere al più presto ogni particolare perché possa regolarmi nella preparazione» – attrae l’attenzione del direttore del Corriere della Sera, Luigi Albertini, e del grande giornalista Luigi Barzini. Il primo corrispondente di guerra italiano decide di prendere parte alla competizione insieme a Borghese e Albertini inoltra la richiesta, accettata con gentilezza ma senza entusiasmo, al Principe. All’appello manca il nostro Ettore Guizzardi, che il 10 febbraio viene avvertito, da Scipione, della decisione di partecipare alla Pechino-Parigi. Il budriese si occupa personalmente dell’allestimento dell’automobile, collaborando con la casa costruttrice Itala. L’equipaggio italiano è il solo a schierare una vettura (da 35/45 HP) potente e pesante, mentre gli altri sfidanti, francesi in testa, decantano la validità, a loro avviso, incontestabile dei mezzi leggeri e poco potenti. Ad inizio aprile, un telegramma annuncia al Principe Borghese l’annullamento del Raid. Il combattivo italiano lascia emergere tutto il suo spirito pugnace e risponde che lui partirà ugualmente e porterà a compimento l’impresa. L’orgoglio transalpino divampa ed il 14 aprile viene confermata la partenza della prima competizione intercontinentale. Al via da Pechino si presentano soltanto cinque auto: un triciclo Contai da sei cavalli, due De Dion-Bouton da dieci cavalli, una Spyker da quindici cavalli e l’Itala da quaranta cavalli (le prime tre vetture francesi, la quarta olandese e la quinta italiana).
UN’AVVENTURA RICCA DI INSIDIE
Le attente ricognizioni, svolte da Scipione Borghese nei giorni precedenti lo start, permettono all’equipaggio italiano di accumulare subito un buon vantaggio. I primi 500 km sono irti di ostacoli, le strade non esistono ed anche i sentieri risultano spesso un miraggio. La gara si incarica di redimere territori completamente privi di sembianze civili. Ogni metro cela un pericolo, nulla può essere dato per acquisito. Guizzardi è costantemente impegnato nella manutenzione – che si prolunga fino a notte fonda (dopo tappe di 14 ore) – della vettura. Ettore svolge anche il ruolo di pilota nei momenti in cui il Principe appare sfinito. Il budriese è uno chaffeur ineguagliabile, competente e capace di associare il talento pratico ad una passione anarchica e folle per il mezzo meccanico.
Dopo cinque giorni dalla partenza da Pechino, l’Itala giunge a Kalgan. Le giornate iniziali sono state dure e quasi insostenibili dal punto di vista fisico: il superamento di un ponte e il guado di un torrente hanno reso, sin dalle prime battute, la sfida automobilistica una vera impresa. Lasciata Kalgan, la squadra italiana si avventura nel deserto del Gobi. Guizzardi, Borghese e Barzini devono fare i conti con delle condizioni ambientali proibitive: i volti si gonfiano e si arrossano per il sole e il caldo, le bocche sanguinano copiosamente, Ettore fatica ad utilizzare le mani (tumefatte) per apportare le cure necessarie alla macchina. L’arrivo ad Urga significa che il deserto è ormai alle spalle, ma le difficoltà continuano senza sosta. Durante il percorso che conduce a Kiakhta, l’Itala rischia di affondare nel terreno paludoso; Guizzardi fornisce una prova indiscutibile del suo talento, riuscendo a smontare e rimontare molte parti dell’automobile per superare il fiume Irò. Lo stesso Principe Borghese, che conosce il meccanico di Budrio da dieci anni, resta stupefatto dalla soluzione adottata dal fedele chaffeur. Kiakhta coincide con l’ultima tappa in Mongolia. La compagine italiana entra nel territorio russo ed incappa in un grave incidente: un ponte crolla sotto il peso dell’Itala ed Ettore riesce prontamente a soccorrere Barzini, rimasto incastrato sotto l’auto, salvandogli la vita. La pioggia appesantisce il terreno. Superato il lago Bajkal e la città di Irkutsk, nei pressi di Pern una ruota si rompe, costringendo i nostri connazionali ad escogitare un nuovo piano di fuga da questa disavventura. La buona sorte, per una volta, si incarna in un abile artigiano che, grazie alla collaborazione di Guizzardi, riesce a costruire una ruota che accompagnerà la corsa dell’Itala fino a Berlino. A Nishnii-Nowgorod (dopo Kasan) si verifica la svolta definitiva. Da questo momento la macchina italiana può esprimere tutta la sua potenza su delle strade percorribili e ben fatte. Dopo 7500 km coperti in 46 giorni, i dominatori del Raid Pechino-Parigi possono cominciare ad assaporare la vittoria, consci di aver oltrepassato la parte più impervia del tracciato. Il passaggio per le vie di Mosca è trionfale, a Pietroburgo viene organizzata una serata di gala in onore dei tre italiani, accolti con grande entusiasmo. La qualità dei percorsi europei permette all’Itala di coprire la distanza di 450 km al giorno. A Wirballen Ettore, Scipione e Luigi entrano in Germania. Dopo Kónigsberg, Elbing, Marienburg, Stargard giungono a Berlino, dove Guizzardi riceve numerosi attestati di stima promossi dal Principe Borghese.
In tre giorni la vettura italiana giunge a Liegi e riparte per Namur e poi per Meaux. Parigi è ormai ad un passo ed il 10 agosto 1907 i nostri connazionali fanno il loro ingresso nella capitale francese e, scortati da una folla oceanica e dalla polizia, arrivano davanti alla sede del giornale Le Matin. Borghese spegne la macchina e pone fine ad un’avventura di 16000 km e 60 giorni (44 di viaggio effettivo). I tre rivali rimasti in gara (il triciclo Contai si era ritirato a poche centinaia di km da Pechino) terminano la loro corsa a Parigi il 31 agosto, con ben 21 giorni di ritardo rispetto alla sorprendente Itala.
DOPO LA GRANDE IMPRESA
Gli anni successivi al Raid Pechino-Parigi sono vissuti da Ettore con coraggio: nel 1915, prende parte (come volontario) alla Iª Guerra Mondiale, rivestendo l’incarico di ufficiale automobilista. Nel 1919 si trasferisce definitivamente a Roma pur mantenendo numerosi contatti con Budrio. Il rapporto con il nostro Comune è favorito anche dal matrimonio della figlia con un componente della famiglia budriese dei Bombarda. Durante la IIª Guerra Mondiale, Guizzardi si arruola volontariamente (all’età di cinquantanove anni) sempre nel Corpo Automobilistico, divenendo un esempio di patriottismo e di lealtà.
L’amore per l’automobile rimane il punto di riferimento per Ettore che, fino al termine della sua vita, continua a mettersi alla prova al volante. Guizzardi muore (ad ottantadue anni) il 23 novembre 1963 e viene sepolto a Budrio (nella cappella Bombarda).
L’EREDITÀ SPIRITUALE DI GUIZZARDI
Se osserviamo attentamente il fondo di qualsiasi strada vi scorgeremo una presenza assidua ed immancabile: Ettore Guizzardi. Chiunque contempli l’automobile nella sua essenza, pura e trascendente, non può esimersi dal riconoscere nel budriese un interprete straordinario del mezzo meccanico. Lo spirito di sacrificio di Guizzardi percorre i tracciati più difficili ed accompagna ogni individuo, che decida di impegnarsi in un’impresa per provare un’esperienza mistica. La fatica riesce a dare voce ad una insospettabile tensione agonistica. Ettore trova nell’automobile una preziosa alleata per liberarsi dagli opprimenti fardelli esistenziali, fuggendo in una dimensione in cui ricercare la parte autentica di sé. La velocità, prodotta dalla vettura, crea uno schermo protettivo rispetto agli sguardi indagatori ed insinuanti degli altri esseri umani, che confluiscono in quel vortice di immagini, suoni, emozioni associate alle scorribande degli intrepidi piloti; ciò si mescola all’impegno profuso nella guida dell’automobile che contribuisce ad esonerare Guizzardi dai superficiali doveri mondani. L’evasione dalle costrittive abitudini quotidiane, incarna una nuova musa ispiratrice: paesaggi inediti, sforzi a tratti brutali, sfide continue agli agenti atmosferici sono parte integrante della vita di Ettore, che rifonda la propria intimità sulle tracce di un vigore atletico, venato di ricorrenti ascese eroiche.
Alcune parole del grande scrittore e giornalista Luigi Barzini, compagno di avventura di Guizzardi, ci offrono un ritratto fedele della personalità del nostro concittadino. Il primo corrispondente di guerra italiano, nel libro La Metà del Mondo vista da un’automobile, da Pechino a Parigi in 60 giorni, descrive così il primo incontro con il meccanico budriese: «La prima volta che lo vidi, era sdraiato sotto l’Itala, supino, immobile, con le braccia conserte. Al primo momento credetti che lavorasse. Invece si divertiva. Poi in viaggio, mi sono accorto che quella è una delle sue posizioni favorite, un suo passatempo; quando non ha nulla da fare, si sdraia sotto l’automobile e la contempla, bollone per bollone, pezzo per pezzo, vite per vite. E s’intrattiene a lungo in quegli strani colloqui con la sua macchina». Proprio in quei colloqui con l’automobile si nasconde il segreto di Ettore Guizzardi, che ancora oggi dona, a chiunque voglia accostarsi alla sua vicenda, una serie infinita di romantiche possibilità di fuga dall’arida e spesso prevedibile realtà.
Leonardo Arrighi
Foto n.1: Ettore Guizzardi e L’Itala prima della partenza del Raid Pechino-Parigi del 1907, fotografia dall’Archivio Montanari e Pazzaglia.
Foto n.2: La squadra al completo: Ettore Guizzardi, Scipione Borghese (al volante) e Luigi Barzini (nella parte posteriore) sulla strada per Mosca a bordo dell’Itala, fotografia dall’Archivio Montanari e Pazzaglia.Foto n.3: Scipione Borghese e Luigi Barzini accanto all’itala dopo l’arrivo a Berlino, fotografia dall’Archivio Montanari e Pazzaglia.
Foto n.4: L’Itala spinta dai coolies fra le rocce della Lian-ya-miao (Cina), fotografia dall’Archivio Montanari e Pazzaglia.
Foto n.5: L’Itala ferma in un villaggio dopo una lunga tappa del Raid, fotografia dall’Archivio Montanari e Pazzaglia.
Foto n.6: L’Itala alle prese con un brutto incidente, fotografia dall’Archivio Montanari e Pazzaglia.
Foto n.7: Ettore Guizzardi, al Museo dell’Automobile di Torino, di nuovo sull’Itala per una celebrazione del Raid Pechino-Parigi, fotografia dall’Archivio Montanari e Pazzaglia.
Foto n.8: La tomba di Guizzardi collocata nella Cappella Bombarda all’interno del Cimitero di Budrio, fotografia di Leonardo Arrighi.
Splendido e dettagliato articolo per omaggiare un grande personaggio ingiustamente poco citato. Grazie!
Bellissimo articolo, mentre lo leggevo stavo sognando a occhi aperti, non male l’idea nel caso qualche produttore cinematografico italiano si cimentasse a fare un film o serie televisiva.
Avventura e sfida allo stato puro….
Confesso d’aver fatto la stessa lettura e la stessa considerazione finale. Ma mi son dato del megalomane e non ho avuto il coraggio di scriverlo. Visto che non sono il solo.. mi associo e a questo punto aggiungo che in diverse di queste vite, qui raccontate, vedrei bene dei film.