La Sala Rosa di Palazzo Medosi Fracassati (Budrio) ospita, fino a domenica 27 ottobre, la mostra della fotografa colombiana Zoraida Díaz che, attraverso le esperienze maturate durante la sua avventurosa carriera, pone in contatto il visitatore con realtà apparentemente molto distanti. L’esposizione è organizzata dalle associazioni culturali Senza Confini di Budrio e Francesco Francia di Bologna.
ZORAIDA E LA FOTOGRAFIA
Le fotografie di Zoraida Díaz creano una frattura nell’anima e penetrano in profondità, portando l’osservatore a riflettere e a porsi domande forse mai sondate in precedenza. Ogni immagine si presenta come un vortice di emozioni in cui la dinamicità dell’esistenza entra in contatto con la statica sospensione dell’istante, che viene eternato da Zoraida. Le foto esposte nella mostra Colombia entre el duelo y la esperanza danno corpo ad una imprescindibile necessità della Díaz che coincide con la ricerca di una fusione tra la realtà (accuratamente documentata) ed una personale pulsione artistica, che consente allo scatto di trascendere la contingenza per divenire universale. Un percorso ascendente si cela all’interno delle fotografie, che forniscono sembianze concrete al sogno, nutrito dall’artista, di ottenere una intersezione autentica tra il dato reale e la più intima componente spirituale. Zoraida si pone su un sentiero creativo irto di ostacoli, in vista dell’appropriazione consapevole di una testimonianza non canonica. Il tentativo di evadere qualsiasi riferimento ad icone già istituzionalizzate ribadisce la ferma volontà dell’autrice di tracciare i contorni di un vocabolario visivo, costituito da immagini perennemente in fuga dal prevedibile soddisfacimento delle attese.
IL RAPPORTO CON LA COLOMBIA
La decisione della famiglia Díaz di abbandonare la Colombia – quando Zoraida era ancora giovanissima – ha inciso notevolmente sul rapporto instaurato dalla fotografa con la terra di origine. Il legame affettivo nei confronti della nazione sudamericana si è rafforzato in modo costante anche grazie ad un continuo arricchimento culturale. Il distacco prematuro ha salvaguardato la sensibilità della fotoreporter, immune dal rischio di assuefarsi alla violenza colombiana e di divenire inerte al cospetto di una straziante serie di tragedie, purtroppo all’ordine del giorno. La fotografa – tornata in Colombia dal 1987 al 1994 – è riuscita a conservare la purezza del suo sguardo, che si sofferma con grande lucidità sulle molteplici manifestazioni della nefasta “guerriglia” colombiana. L’orgoglio delle proprie origini si mescola all’oggettiva constatazione degli influssi negativi della delinquenza, che raggiunsero l’apice tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Zoraida coglie l’inconciliabile «dicotomia tra l’innocenza della maggioranza della popolazione e la viscerale malvagità di una minoranza, capace però di condizionare la vita dell’intera nazione». L’innocenza viene frequentemente incarnata dai bambini, protagonisti di numerosi scatti ed insostituibili interpreti di una realtà che, loro malgrado, li porta ad essere preda della cattiveria umana fin dai primi istanti trascorsi in questo mondo. Poliziotti e ladri (1988), Scuola chiusa (1988) ritraggono due bambini alle prese con delle armi: nel primo caso si tratta di una pistola giocattolo brandita con una padronanza preoccupante, mentre nella seconda foto il fucile è una vera arma da fuoco, parte integrante del consueto equipaggiamento del più giovane guerrigliero all’interno della Guardia dei membri della Segreteria della FARC. Il volto del ragazzino (di dodici anni) lascia trasparire la sua totale estraneità a ciò che lo circonda. Gli occhi sembrano cercare conforto, senza perdere però la tangibile maturità acquisita a causa di esperienze difficili da esprimere.
Foto n.1: Contro colei che non tace, 1990.
Foto n.2: Poliziotti e ladri, 1988.
Foto n.3: Mai più, 1988.
Foto n.4: Scuola chiusa, 1988.
IL DOLORE E LA SPERANZA
La lontananza dalla Colombia ha permesso a Zoraida di valorizzare l’ammirevole forza – di cui lei stessa è espressione – dei suoi compatrioti. Pur dovendo fare i conti con le devastazioni prodotte dalla violenza, di cui il narcotraffico è una delle motivazioni scatenanti, i colombiani scelgono di resistere stoicamente ad ogni indicibile avversità. La popolazione, come ricorda il titolo della mostra, è immersa in un continuo sovrapporsi di sensazioni dolorose, diretta conseguenza delle azioni criminali, e di una inamovibile fiducia nell’essenza stessa della speranza. Questa viene perfettamente sintetizzata dalla fotografia Mai più (1988) dove un padre ed una madre mostrano l’immagine del figlio, scomparso nel 1982 e quasi certamente assassinato.
I genitori, pur consapevoli del probabile destino del loro caro, non possono esimersi dal continuare a sperare, restando fedeli alla propria natura. Lo scatto Contro colei che non tace (1990) ritrae una bambina (impegnata in una manifestazione) che espone con fierezza un cartello in cui è scritta una verità inconfutabile, ma troppo spesso dimenticata e vilipesa: «La morte non cambia nulla». Questo messaggio pone un fondamento irrinunciabile per poter dare vita ad una piena emancipazione dalla violenza, che ancora oggi non risparmia la Colombia. Infatti – come afferma la stessa Zoraida – «attualmente l’operato della guerriglia criminale, rispetto a vent’anni fa (periodo a cui risalgono le foto esposte), agisce in modo meno appariscente e l’attività svolta dai giornalisti deve indirizzarsi verso il tentativo, non più rimandabile, di svelare i drammi giornalieri che affliggono la coraggiosa popolazione colombiana».
Leonardo Arrighi
ORARI DELLA MOSTRA
Sabato 19 ottobre 2013: inaugurazione ore 17
Martedì 22 ottobre 2013: ore 10-12
Sabato e Domenica: ore 10-12 e 15,30-18