L’Ora dei fusi in Italia

31 ottobre, 2013

di Gianluigi Parmeggiani*

Nella notte del 31 ottobre di centoventi anni or sono l’Italia adottava il sistema dei fusi orari, ossia la suddivisione della Terra in zone convenzionali che hanno la stessa ora.

Da quella data gli orologi delle ferrovie, degli uffici postali e dei palazzi comunali in Italia non furono più regolati sul tempo medio di Roma, ma su quello dell’Europa Centrale, un’ora a Est di Greenwich, che era anche il tempo del meridiano che passava per l’Etna; nello stesso modo fu regolato a Bologna lo sparo del cannone che segnalava il mezzogiorno. Questa consuetudine di annunciare mezzogiorno con un colpo di cannone sparato dal piazzale di San Michele in Bosco era nata nel 1886 su idea di Quirico Filopanti, con il sostegno di Carducci e Minghetti.
Nel nostro paese si realizzava quella trasformazione dell’ora che Filopanti aveva immaginato primo fra tutti fin dal 1859, anche se in Europa i fusi furono chiamati l’ora americana, perché applicati per la prima volta in America nel 1883.
La loro nascita è legata ai molti cambiamenti in campo tecnologico e culturale che si ebbero nell’Ottocento e che portarono a un nuovo modo di vivere e percepire tempo e distanza. E prima ancora all’introduzione dell’orologio meccanico.

Per molti secoli l’uomo aveva individuato le ore del giorno utilizzando la variazione dell’ombra dovuta al moto apparente del Sole. Erano ore ineguali, per via della loro durata variabile in base al periodo dell’anno, e diverse da paese a paese variando con la longitudine. D’estate erano più lunghe delle nostre e d’inverno più corte, mentre il mezzogiorno a Budrio non capitava nello stesso istante di quello di Medicina o di quello di Granarolo. Queste ore sopravissero nell’uso comune fino al tardo medioevo. Nemmeno l’introduzione dell’orologio meccanico, che si diffuse in Europa dal XIV secolo, bastò all’inizio a determinare il successo delle ore uguali. Quando le ore uguali entrarono nell’uso comune, in Italia, esse partirono dal tramonto e gli orologi dovevano essere rimessi a punto quasi di continuo. L’orologio “alla italiana” permetteva di conoscere di quante ore di luce si poteva ancora disporre, ma non seguiva il mezzogiorno, che si spostava tra le 17 e le 19. Quasi dappertutto in Europa, invece, le ore si contavano da mezzanotte o da mezzogiorno, senza tenere conto dell’alba o del tramonto. Questo sistema era chiamato in Italia, “alla francese” o “all’oltramontana”. Il nuovo, nato nella Francia dei Lumi, era visto con favore dalle classi borghesi e con molta diffidenza dal popolo.
Bologna regolò gli orologi all’oltramontana il 13 agosto del 1796, durante l’occupazione francese.

Nei primi decenni del Settecento, la precisione raggiunta dagli orologi meccanici fece prendere coscienza a molti che la durata del giorno naturale si discostava dalle ventiquattro ore indicate dall’orologio. Il Sole, infatti, non è un orologio preciso, per la mancanza di regolarità del suo moto apparente lungo l’eclittica, e la durata del giorno, definito come l’intervallo tra due successivi passaggi del Sole al meridiano, è variabile. Ben presto l’orologio diventò il “vero” regolatore del tempo con l’invenzione di un Sole fittizio che si muove regolarmente lungo la sua orbita. Il tempo dell’orologio, chiamato anche tempo medio, fu introdotto a Ginevra, già famosa per la fabbricazione di buoni orologi, nel 1780 e a Londra nel 1792. Berlino lo adottò solo nel 1810 e Parigi nel 1816. In Italia il tempo medio fu adottato molto più tardi. A Bologna il 20 marzo 1860.
Era ancora un tempo locale, perché dipendeva dal luogo dove era misurato.

Finché i viaggi erano lenti e la diffusione delle informazioni non superava la velocità di un cavallo queste differenze non erano di grande importanza e il viaggiatore non le apprezzava. Le prime ferrovie e l’uso del telegrafo per le comunicazioni commerciali tra città lontane accentuarono la consapevolezza della diversità delle ore locali. Nel novembre 1840 la Great Western Railway, che collegava Bristol con Londra, fu la prima compagnia a utilizzare il tempo di Londra per gli orari di tutta la linea, cancellando ogni richiamo alle diverse ore locali. Nel settembre del 1847 tutte le ferrovie britanniche adottarono il tempo di Greenwich fornito dall’omonimo Osservatorio (la differenza tra il tempo di Greenwich e quello di Londra è di ventitré secondi). In poco tempo non solo le ferrovie, ma anche quasi tutte le grandi città inglesi e dal 1848 anche le grandi città scozzesi adottarono questo tempo. Era nata la prima ora nazionale.

In Italia, con l’introduzione dell’orario ferroviario invernale del 12 dicembre 1866, le ore ferroviarie sul continente furono unificate adottando il tempo del meridiano di Roma. Per la Sicilia e la Sardegna erano adottate le ore di Palermo e di Cagliari. Dopo pochi mesi molte città italiane, per libera iniziativa e non per legge, decisero di sostituire l’ora locale con quella di Roma. Torino e Bologna cambiarono l’ora il primo gennaio 1867. Era nata l’ora nazionale italiana.
Le ferrovie avevano permesso di superare le ore locali e dare un’ora nazionale ad alcuni Stati (Inghilterra e Scozia, Italia, Svezia dal 1879, Francia dal 1890), ma non erano state in grado di unificare il tempo negli Stati Uniti, dove era impossibile avere un’unica ora ferroviaria o un’ora nazionale, a causa della grande estensione longitudinale. Anche in Europa c’era lo stesso problema quando si usciva dai confini nazionali. Non si poteva fissare con certezza la durata di un viaggio; era impossibile comunicare senza ambiguità l’ora di partenza o quella d’arrivo; era necessario regolare in continuazione l’orologio, perché esisteva il tempo di Roma, di Londra, di Praga, ecc.

Un viaggiatore che andava da Londra a Pietroburgo doveva spostare le lancette 36 volte, da Londra a Costantinopoli 12 volte, da Parigi a Odessa 10 volte. Per superare il problema, alcuni proposero di istituire un’unica ora valida per tutto il mondo: tutti i paesi del globo avrebbero usato, ad esempio, l’ora di Greenwich o quella di Parigi. Una mediocre soluzione: in alcuni luoghi si avrebbe avuto il mezzogiorno con il Sole all’orizzonte in altri sarebbe stata notte fonda. Le abitudini dei cittadini sarebbero uscite sconvolte.

Filopanti, nel 1858, aveva proposto la sua idea per unificare il tempo della Terra: i fusi orari. Poiché l’ora del giorno non varia in base alla latitudine, egli propose di suddividere la Terra in 24 regioni longitudinali, i fusi, aventi la differenza di un’ora l’uno dall’altro. In questo modo era possibile ottenere una semplificazione nella misura del tempo: gli Stati compresi nello stesso fuso avrebbero avuto la stessa ora, la differenza d’ora tra Stati posti in fusi diversi sarebbe stata sempre un multiplo intero e le diverse ore facilmente rapportabili tra loro. La differenza tra il tempo dei fusi e l’ora locale non avrebbe mai superato la mezz’ora. Filopanti proponeva anche che gli orologi avessero due sfere ad angolo fisso tra loro. Una avrebbe dovuto portare la lettera U e indicare il tempo universale, l’altra con la lettera L avrebbe indicato il tempo locale.
La sua invenzione fu attuata, senza riconoscimenti per lui, nell’International Meridian Conference tenutasi a Washington nel 1884. Era nato lo Standard Time e il meridiano di Greenwich divenne il riferimento universale, rispetto al quale le altre ore locali sono espresse. In Italia si adottò il sistema dei fusi con decreto reale pubblicato il 10 agosto 1893 e con inizio il giorno 1 novembre.


Foto n.1: Il primo e unico riconoscimento in quel periodo della paternità della proposta di Filopanti. Immagine tratta dalla Gazzetta Piemontese del 30 ottobre 1893.
Foto n.2: Fusi orari, immagine tratta dall’almanacco italiano del 1898, edito da Bemporad editori Firenze. . La quarta immagine, . Fu fatto da Elia Millosevich, direttore dell’Osservatorio del Collegio Romano. .
Foto n.3 e n.4: Decreto firmato dal ministro Genala per l’introduzione dei fusi orari in Italia

Oggi i bordi dei fusi orari sono vagamente irregolari per seguire i confini o per decisioni prese dai singoli paesi: l’Islanda usa l’ora di Greenwich, India e Cina impongono un’ora unica sul loro territorio mentre la Russia ne ha undici. E sono insidiati dall’orologio atomico che ha fatto nascere un nuovo tempo che non ha nessun rapporto con la rotazione della Terra come quello dei fusi. Sono tempi diversi perché la rotazione del nostro pianeta intorno al proprio asse rallenta di 1,7 millisecondi il giorno, per l’azione mareale della Luna e altri effetti astronomici. Il ritardo tra i due tempi è mantenuto entro 0,9 secondi, aggiungendo, quando è necessario, un secondo al tempo atomico (Tempo Coordinato universale) il 31 dicembre o il 30 giugno di ogni anno. Questo salto di un secondo è scarsamente prevedibile, non è regolare e per questo crea grossi problemi. Un problema che non riguarda gli orologi che si usano nella vita quotidiana, ma, ad esempio, i sistemi di navigazione satellitare. Un secondo per un sistema Gps è un periodo enorme, perché lavora sui milionesimi. E questo non è l’unico campo delicato: in un secondo possono essere migliaia e migliaia le transazioni finanziarie operate nelle Borse di tutto il mondo.
Ultimamente si è discusso se cambiare definitivamente il tempo e adottare quello degli orologi atomici, lasciando quello solare, ma senza raggiungere nessun risultato. Parecchi Paesi importanti fra cui Usa, Italia e Germania vogliono questa nuova scala dei tempi ma altri, tra cui Cina e Regno Unito (quest’ultimo per ovvi motivi, dato che Greenwich perderebbe il suo secolare primato) si oppongono.

*Gianluigi Parmeggiani, astronomo di Mezzolara, ha lavorato presso l’Osservatorio Astronomico di Bologna. Ha sempre avuto un interesse per la misura del tempo e per la sua evoluzione nel corso degli anni. Ha partecipato attivamente alle diverse manifestazioni che si sono tenute a Budrio e a Bologna, lo scorso anno, per la ricorrenza dei 200 anni dalla nascita di Quirico Filopanti.

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3 Commenti


  1. E’ un articolo davvero interessante.

  2. Una lettura avvincente. La storia della scienza spiegata a tutti, tra tante sciocchezze che si leggono ovunque, fa bene allo spirito ed é anche rilassante.
    Ezio R.

  3. CARO PARMEGGIANI,DA SEMPRE TUO ESTIMATORE DELLA MATERIA, CHE COSI’IN POCO SPAZIO AI TRATTATO, IN MODO MAGISTRALE- COME AI VECCHI TEMPI IN CUI CI INCONTRAVAMO, IN CIRCOLO, SEDUTI ATTORNO AL TAVOLONE NERO.. COME COMITATO DI GESTIONE DELLA BIBLIOTECA COMUNALE. RICORDO PERFETTAMNETE CHE ARRIVAVI A VOLTE DI CORSA, CON IL TU AMICO VIGNOLI (sempre di Mezzolara) E DOPO AVER TRATTATO DELLE FACCENDE CULTURALI-TECHICHE INERENTI AL LUOGO DI RIUNIONE, SPIEGAVI GLI ARCANI ANCESTRALI, CON SAPIENZA, ELOQUENZA E SOPRATUTTO CON CHIAREZZA. GAZIE GIANLUIGI. AI DESTATO IN ME ANTICHE MEMORIE DI BATTAGLIE… E DI ARRICHIMENTO PERSONALE. UNA STRETTA DI MANO DA ROBERTO GIACON

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