Lo strano “caso” della budriese Clotilde Scanabissi

27 novembre, 2013

Sono passati 140 anni dalla nascita della scrittrice budriese Clotilde Scanabissi. Prima di riflettere sul (discutibile) valore letterario delle sue opere, è fondamentale soffermarsi sulla personalità di Clotilde.
La Scanabissi appartiene a buon diritto al novero delle grandi donne del nostro Comune. La tenacia infaticabile con cui ha perseguito il proprio sogno, tentando di migliorare se stessa in modo costante, è una qualità che dovrebbe ispirare chiunque si accosti a questa storia.

Il coraggio di difendere l’aspirazione della sua vita è un valore senza tempo, a maggior ragione se consideriamo il contesto sociale, dei decenni tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, che non favoriva certo l’espressione della sensibilità femminile.
L’eccentricità, a volte venata di follia, dell’autrice non sottrae energia all’esemplarità della sua vicenda umana, anzi accresce la portata della sfida lanciata dalla Scanabissi non solo ad un mondo fortemente maschilista, ma al significato profondo dell’esistenza.

IL CASO LETTERARIO
Nel 1946 il noto critico letterario e saggista Mario Praz riscopre il libro di Clotilde Scanabissi. Nello stesso anno Praz pubblica, sul periodico Mercurio, un saggio relativo a Ricordi di una telegrafista, che viene definito “un romanzo stile liberty”. Nel 1952 il testo critico è inserito in una raccolta di studi e nel 1972 è ripubblicato. Quest’ultima edizione dello scritto di Praz attrae l’attenzione di Giulio Ungarelli (critico e saggista), che decide di impegnarsi nella risoluzione del mistero che ruota attorno all’identità dell’autrice Nyta Jasmar. Ungarelli comprende che la chiave di volta dell’enigma si cela tra le pagine dedicate dalla scrittrice a Budrio. Nell’estate del 1975 nel nostro Comune prende vita un vero e proprio “caso letterario”, che coinvolge gli abitanti incuriositi. Dopo una accurata indagine, il saggista scopre che lo pseudonimo corrisponde all’anagramma di Samaritani, cognome del marito di Clotilde Scanabissi. L’identità dell’autrice è confermata anche dalla lettura di una delle poche copie della rivista L’Imparziale, in cui la stessa Clotilde spiega la nascita dello pseudonimo Nyta Jasmar.
Nell’autunno 1975 la casa editrice Einaudi decide di pubblicare (a distanza di sessantadue anni dalla Iª edizione: Libreria editrice Costantino Galleri, Bologna, 1913) il romanzo Ricordi di una telegrafista. L’opera della Scanabissi è inserita nelle collana Centopagine (diretta da Italo Calvino) e accompagnata da una Nota introduttiva a cura di Giulio Ungarelli.

RICORDI DI UNA TELEGRAFISTA
Il libro Ricordi di una telegrafista racconta la storia di Marina: una donna che alterna la vita in un modesto appartamento, dove si rifugia al termine di estenuanti giornate di lavoro come telegrafista, a quella trascorsa nei lussuosi palazzi dell’alta società di cui fanno parte la madrina (Contessa di Brighten) e il tutore (Padre d’Orelles). L’umile abitazione è presto teatro delle voluttuose relazioni amorose di Marina. Le descrizioni sono a volte troppo insistite ed incentrate su particolari poco rilevanti, in altre circostanze risultano eccessivamente sbrigative. Il romanzo non è costruito su una trama solida e ben riconoscibile, l’andamento della narrazione appare frammentario.
Nella parte conclusiva le dinamiche letterarie diventano più esplicite. Padre d’Orelles rivela alla protagonista l’identità del vero padre: il fratello (prete) dello stesso tutore. Il nome di Marina è in realtà Cristina Rosita d’Orelles. La ragazza cerca di raccogliere notizie sulla madre, una dama della quale il tutore non può svelare nessun dettaglio. Marina sceglie di redimersi e di liberarsi dalle tragedie che ne hanno segnato l’esistenza, dedicandosi ad opere di carità. In particolare contribuisce in modo decisivo alla creazione di un asilo per orfani. Il romanzo termina con la visita, in incognito, della madre di Marina all’istituto e con Padre d’Orelles (presente all’incontro) che comunica poi alla protagonista lo stretto legame che la unisce alla donna appena congedatasi.

LE PAGINE DEDICATE A BUDRIO
Alcune pagine del romanzo sono dedicate a Budrio. Clotilde rende omaggio alla terra natale in modo affettuoso. La sequenza narrativa riservata al nostro Comune è caratterizzata da uno stile semplice, pacato e privo delle ridondanze disseminate nelle altre parti del libro. La scrittrice acquisisce sicurezza e tranquillità parlando dei suoi conterranei. Budrio è valorizzata attraverso il ricordo dei grandi personaggi – tra cui spiccano Quirico Filopanti e il cavaliere Francesco Codicè, sindaco e poeta (per passione), di cui viene riprodotta la Ballata delle ciliegie bianche – che vi sono nati e grazie a brevi, ma efficaci, descrizioni dei monumenti più importanti: il Palazzo Comunale, i Torrioni, il Campanile.

LA DURA REALTÀ
Clotilde Scanabissi nasce a Budrio il 4 marzo 1873. I genitori sono dei piccoli commercianti e la giovinezza della scrittrice trascorre in modo sereno. Clotilde frequenta la scuola elementare e poi la scuola tecnica. Conclusi gli studi diventa telegrafista ad Imola. L’8 settembre 1904 la Scanabissi sposa Tomaso Samaritani, componente di una nobile famiglia – decaduta e con poche risorse economiche – di Lugo. Il matrimonio rappresenta una forte delusione. Clotilde si scontra con la dura realtà, ben diversa dai sogni letterari che la sua mente partorisce. La vita coniugale è priva di sussulti emotivi e, dopo pochi anni, la separazione si concretizza. In questo periodo il libro Ricordi di una telegrafista è già concluso (scritto tra il 1903 e il 1904). La Scanabissi si immerge nella lettura, che occupa quasi ogni istante libero da impegni lavorativi. I viaggi si susseguono. Clotilde non sempre riesce a gestire la propria esuberanza intellettuale.
Nel 1913 la budriese pubblica (a sue spese e con lo pseudonimo di Nyta Jasmar) il romanzo Ricordi di una telegrafista presso la Libreria editrice Costantino Galleri di Bologna: la diffusione dell’opera è minima. Alcuni conterranei, per curiosità, acquistano il libro, che trova spesso posto nei cassetti perché considerato troppo audace e licenzioso. Il romanzo non sfugge però ai superiori della Scanabissi, che viene trasferita a Torino a causa dell’immoralità delle pagine scritte. L’assenza di ogni riscontro da parte della critica letteraria getta Clotilde in uno stato di profonda tristezza. L’avvilimento della sua ambizione contribuisce alla deriva patologica che conduce la scrittrice verso una forma ossessiva di sdoppiamento della personalità. La Scanabissi si crede una autrice di fama internazionale e si rapporta con sé stessa in modo imprevedibile: a volte prende le distanze da Nyta Jasmar (sua identità narrativa), rivolgendosi a lei come ad una persona totalmente estranea; in altri casi si verifica una istantanea fusione tra i connotati reali di Clotilde e quelli onirici di Nyta. I confini sono labili e la contraddittorietà regna sovrana. Un dato inconfutabile persiste: la scrittrice budriese non riesce ad accontentarsi della prevedibile quotidianità e tenta in ogni maniera di sfuggirle.

LA DOPPIA IDENTITÀ
La definitiva (e non più ricomponibile) polarizzazione tra le due personalità – Clotilde da una parte e Nyta dall’altra – è sancita dalla pubblicazione del Iº ed unico numero della rivista L’Imparziale (Tipografia Montanari e Garavini, Budrio). Il 25 dicembre 1921 esce il periodico a cura della scrittrice budriese, che è la sola componente delle presunta redazione. I testi sono frutto della penna della Scanabissi, che traccia a più riprese il ritratto ideale del suo doppio letterario. Clotilde lascia emergere le frustrazioni represse e, utilizzando i panni della «Redazione», dà vita ad una difesa accorata di Nyta Jasmar. Ogni giudizio negativo è apparentemente destituito di fondamento, ma purtroppo a caro prezzo. La sensibilità della Scanabissi è ormai sorda ad ogni possibile richiamo, che la possa riconnettere alla realtà. La complessità esistenziale di Clotilde si manifesta, quasi senza filtri, in modo drammatico in una nota redazionale presente su L’Imparziale: “NYTA JASMAR non va confusa affatto con gli spiritisti di professione, ne con le Sonnambule veggenti. È persona già sventurata quanto rispettabile; la quale può vantare nobili e facoltosi antenati; imparentata a famiglie distinte e titolate; e che ebbe il dolore di vedersi vittima sin dall’infanzia di un fato inesorabile che spingeva la propria famiglia verso troppo modeste condizioni sociali”. Nel 1924 viene pubblicato, sempre a spese dell’autrice, Non licenzio il mulinaro! (Tipografia editrice Montanari e Garavini, Budrio), un breve romanzo di scarso valore letterario.

Le spire delle molteplici ossessioni avvolgono Clotilde in una morsa quasi asfissiante. Gli abitanti di Budrio sono colpiti da alcune stranezze della loro compaesana, che fatica a celare le varie manie che la affliggono: tra cui quella di cercare e raccogliere sassi (anche di grandi dimensioni) che – entrando in contatto diretto con le radiazioni astrali emanate dal corpo della scrittrice – avrebbero dovuto trasformarsi in gemme preziose e oro. Clotilde Scanabissi muore, a Budrio, il 10 novembre 1931 in una stanza della Locanda dell’Angelo (nell’attuale via Bissolati).

Leonardo Arrighi

Foto n.1: Clotilde Scanabissi in una delle rarissime fotografie che ha accettato di farsi scattare. Nel cartoncino, su cui è apposta la foto, compare una dedica alla madre firmata affettuosamente: «Alla mia cara mamma, Tilde» e la specificazione del luogo: «eseguito in ufficio» (Archivio Montanari e Pazzaglia).
Foto n.2: Prima pagina della rivista L’Imparziale – scientifico – letterario – artistico – sportivo – mondano – apolitico…imparziale, I, n.1, Imola, 25 dicembre 1921, pp.8, stampata (incarta rosa con caratteri azzurri) dalla Tipografia Montanari e Garavini di Budrio (Archivio Montanari e Pazzaglia).
Foto n.4: Dettaglio fotografico che riporta il nome della Direttrice-Responsabile e della Tipografia che ha stampato il periodico, p.7 (Archivio Montanari e Pazzaglia).
Foto n.5: Copertina del breve romanzo Non licenzio il mulinaro!, Tipografia editrice Montanari e Garavini, Budrio, 1924, pp. 64 (Archivio Montanari e Pazzaglia).
Foto n.6: Copertina de Ricordi di una telegrafista, Torino, Einaudi, 1975.
Foto n.7: Presentazione di Italo Calvino riportata nella quarta di copertina de Ricordi di una telegrafista, Torino, Einaudi, 1975.

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