Filopanti e il ‘Calendario Futuro’

28 dicembre, 2013

Secondo il nostro calendario, nato dalla riforma gregoriana del 1582, tra pochi giorni inizierà l’anno 2014. Sarà anche l’anno 1435-36 secondo il calendario musulmano, l’anno 5774-75 secondo il calendario ebraico e l’anno 2558 secondo il calendario buddista. Se fosse ancora in vigore il Calendario repubblicano della Rivoluzione francese, i francesi inizierebbero l’anno 222.
L’agenda che consultiamo ogni giorno, il calendario olandese che si trova spesso in cucina e che si rinnova ogni anno alle porte dell’inverno sono impregnati di storia e di un passato plurimillenario.

Il tentativo di creare un calendario, infatti, ha costituito una delle maggiori sfide dell’umanità; un enigma per astronomi, sacerdoti e imperatori, che hanno utilizzato ” le unità di misura” del cielo: l’avvicendarsi del giorno e della notte, il ciclo stagionale governato dal Sole e il ciclo delle fasi lunari. E poiché il Sole, la Luna da millenni erano anche simboli religiosi, la realizzazione di un calendario fu da subito impregnato di tali valori.

Solo il Calendario repubblicano e il Calendario futuro di Quirico Filopanti furono un tentativo di sostituire il calendario dei miti con il calendario della ragione. Proposte presto dimenticate, ma che potrebbero essere di nuovo utili se mai un giorno si decidesse di riformare il Calendario gregoriano per dargli una valenza civile e universale.
I calendari più antichi erano basati sull’osservazione del ciclo della Luna, ossia il tempo che intercorre tra un novilunio e quello successivo e che vale in media 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e 2,8 secondi, intendendo per giorno la combinazione di notte e dì. (Il Calendario musulmano è rimasto oggi l’unico calendario puramente lunare di larga diffusione.) Gli antichi calendari del Mediterraneo orientale, che avevano avuto origine da precedenti calendari lunari, erano invece tutti luni-solari, ossia prendevano in considerazione anche il Sole con il suo ciclo annuale: l’anno tropico che è l’intervallo di tempo che separa due passaggi consecutivi del Sole allo stesso equinozio. Oggi sappiamo che è di 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 48 secondi, ma che già Ipparco di Nicea (190 a.C. – 120 a.C.) lo aveva calcolato con buona approssimazione: 365 giorni, 6 ore, 55 minuti e 12 secondi. Un risultato sorprendente, tenuto conto dei mezzi dell’epoca. Sfortunatamente ai 12 mesi del ciclo della Luna mancano circa 11 giorni per fare un anno tropico e tutte le complicazioni legate alla formulazione di un calendario efficiente (fedele alla Luna per la divisione in mesi e al Sole per l’anno) nascevano dalla difficoltà di conciliare tra di loro questi periodi. Inoltre, poiché per ragioni pratiche l’anno del calendario deve essere composto da un numero intero di giorni le quasi 6 ore in più dell’anno tropico rispetto ai 365 giorni di un possibile calendario causeranno un sacco di problemi.

Il nostro attuale calendario discende direttamente da quello dell’antica Roma. Secondo la leggenda il primo Calendario romano fu istituito da Romolo nel 738 a.C.; era un calendario lunare con soli 10 mesi, 4 mesi di 31 giorni e 6 mesi di 30 giorni, per un totale di 304 giorni. Forse erano contati altri 60 o 61 giorni invernali che non erano considerati mesi, data la loro scarsa importanza per i lavori agricoli. Ben presto i Romani, pur non essendo bravi astronomi, si resero conto che l’anno di 304 giorni era molto più corto dell’anno tropico e durante il regno di Numa Pompilio, furono aggiunti due mesi arrivando a un anno di 355 giorni. Era ancora un calendario di durata quasi lunare e per evitare che perdesse in breve tempo il passo con le stagioni, fu introdotto ad anni alterni un mese supplementare di ventidue o ventitré giorni. Questo calendario fu profondamente trasformato dai decemviri attorno al 450 a.C. facendolo diventare solare e portando la durata dell’anno a 365 giorni e 6 ore (quella che era ritenuta allora la durata dell’anno tropico). Era un calendario complesso che usava il procedimento delle intercalazioni, ossia l’aggiunta di giorni supplementari. Il nuovo calendario tuttavia non fu reso pubblico, era nella sola disponibilità dei sacerdoti che aggiungevano e sottraevano giorni a loro piacimento, fino farlo sfasare completamente rispetto alle stagioni. Voltaire scrisse che “ i condottieri romani vincevano sempre ma non sapevano mai in quale giorno avessero vinto”. Giulio Cesare nel 46 a.C., con l’aiuto di uno dei più importanti astronomi del tempo, il greco – egiziano Sosigene, ristabilì l’ordine creando il Calendario giuliano, di pubblico dominio e non più segreto di stato. Per riportare il calendario a un allineamento con l’equinozio di primavera, che la tradizione poneva il 25 di marzo, Cesare ordinò che due mesi supplementari fossero introdotti nell’anno 46 a.C. che finì per avere la straordinaria durata di 445 giorni. Cesare lo definì ultimus annus confusionis. Forse fu molto ottimista nel considerarlo ultimo.

Cesare stabilì poi che l’anno doveva essere composto di 365 giorni, con 5 mesi di 30 giorni (Aprilis, Junius, Sextilis, September, November) , sei di 31 (Januarius, Martius, Maius, Quintilis, October, December) e uno – Februarius – di 29. Inoltre introdusse un ciclo di 4 anni nel quale i primi 3 anni contano 365 giorni e il quarto, detto bisestile, conta 366 giorni. In tale modo l’anno veniva ad avere in media i 365 giorni e 6 ore ritenuti necessari. Dopo la morte di Cesare il senato decretò che il mese Quintilis fosse denominato Julius in suo onore e Cesare Augusto nell’8 a.C. ribattezzò il mese chiamato Sextilis (in cui Cesare Augusto aveva ottenuto trionfi) con il proprio nome (Augustus). Non volendo che il suo mese fosse più corto di quello dedicato a Cesare, tolse un giorno a Februarius per passarlo ad Augustus.
Giulio Cesare non sapeva che l’anno del suo calendario durava 11 minuti e 12 secondi in più dell’anno tropico, ossia tre quarti di giorno in un secolo e tre giorni in quattro secoli. Se inizialmente questa difformità poteva sembrare di scarsa rilevanza, gli effetti che si accumularono nel tempo finirono per diventare significativi. All’epoca del concilio di Nicea, avvenuto nel 325 d.C., lo scarto aveva raggiunto i 3 giorni circa e nel XVI secolo l’equinozio di primavera sarebbe caduto all’inizio di marzo. (Come curiosità il solstizio invernale che doveva cadere intorno al 21 dicembre cadeva ormai il 13 dicembre; di qui il detto popolare “La notte di Santa Lucia è la più lunga che ci sia”.) Se non si fossero presi provvedimenti l’equinozio avrebbe finito per arrivare a Natale.

Nel 1267 il francescano Ruggero Bacone aveva fatto arrivare a papa Clemente IV un suo trattato in cui si metteva in evidenza l’incongruità del calendario giuliano rispetto ai dettami del Concilio di Nicea, che stabilivano che la Pasqua fosse celebrata da tutti “la domenica successiva alla Luna piena di primavera, cioè alla prima che cade dal giorno dell’equinozio di primavera” tenuto fisso al 21 marzo. Ma allora l’equinozio non era più fisso e anticipava progressivamente. Con questo trattato la somma autorità cristiana fu cosciente che nel Calendario giuliano c’era un grande problema da risolvere, ma passarono quasi altri duecento anni prima che la Chiesa fosse capace di risolverlo. Questo avvenne con il Concilio convocato a Trento nel 1545.
Il Concilio di Trento propose la revisione del messale e del breviario e il papa Gregorio XIII, successore di Pio V, decise che in base a questa delega aveva anche il potere di riformare il calendario.

Per fare in modo che l’equinozio, arrivato a coincidere con l’11 marzo, tornasse al 21 del mese, il Papa , dopo avere consultato una commissione composta dai più importanti esperti dell’epoca, ordinò che il giorno successivo al 4 ottobre 1582 fosse il 15; Inoltre l’anno bisestile sarebbe stato soppresso negli anni divisibili per 100 a meno che non fossero divisibili anche per 400. Il 1700, 1800 e 1900 non sono stati anni bisestili, mentre lo sono stati il 1600 e il 2000.

Il calendario gregoriano fu adottato in tutto il mondo cristiano dal 1582 al 1587, anche se il popolo non gradì subito la riforma: rappresentava un cambiamento di abitudini e turbava il calendario tradizionale dei contadini, i proverbi sul clima e c’era anche il sospetto che il Papa avesse rubato 10 giorni alla vita di ciascuno. I protestanti della Germania e della Svizzera aspettarono circa un secolo prima di adottare il nuovo calendario. L’Inghilterra e l’Irlanda si allinearono “faticosamente” agli altri paesi nel 1752. La Russia resistette fino al 1917 nella parte occidentale e sino al 1929 nella parte orientale. Anche i paesi extra-europei furono costretti a cambiare dalle potenze coloniali europee: il Giappone nel 1873, la Cina nel 1911, la Turchia nel 1927.
Ma il Calendario gregoriano, sia pure adottato da quasi tutti i popoli della Terra, può essere considerato universale? Era (è) accurato a meno di 26 secondi all’anno, un errore che diventerà un giorno solo tra 3318 anni, ma ha anche diverse imperfezioni: le parti in cui è diviso l’anno sono di grandezza ineguale, le feste mobili sono variabili e spesso mal collocate, i giorni della settimana si spostano ogni anno, gli eventi periodici sono complicati da fissare. La diversa lunghezza dei mesi influenza i pagamenti, il commercio, le banche, le feste mobili cadono spesso nel mezzo della settimana e interferiscono con gli orari di lavoro, il carattere mutevole del calendario non consente di fissare gli avvenimenti periodici negli stessi giorni del mese. Ma soprattutto il calendario non è uno strumento neutro e seguirlo vuol dire riconoscere l’autorità che lo ha predisposto. Per questo alcuni storici riferiscono che il protestante Keplero, pur in accordo come astronomo con i calcoli del calendario riformato da papa Gregorio XIII, dicesse che era preferibile “essere in disaccordo con le stelle piuttosto che dichiararsi in accordo con il Papa”.

Un calendario che eliminasse questi inconvenienti, basato su criteri di razionalità e libero da ogni vincolo religioso, veramente universale non poteva nascere che da una rivoluzione, come quella francese, o da spiriti liberi, come Quirico Filopanti.
Gli uomini della Rivoluzione francese, in sintonia con le loro ispirazioni scientifiche che avevano portato all’introduzione del sistema metrico decimale e su proposta di una commissione formata da grandi scienziati, proposero un calendario detto repubblicano che entrò in vigore il 26 novembre 1793.
Nel Calendario repubblicano l’anno fu diviso in 12 mesi di 30 giorni (dodici perché la Luna passa dodici volte davanti al Sole). I 5 giorni mancanti per completare l’anno furono messi alla fine del dodicesimo mese e ogni 4 anni se ne aggiungeva un altro. Erano i giorni sans culottides dedicati alla Virtù, al Genio, al Lavoro, all’Opinione, alla Ricompensa, mentre il sesto giorno era il Jour de la Révolution. I nomi dei mesi dovevano avere come fonte la Natura (ad esempio Nevoso per quello della neve, Piovoso per quello caratterizzato dalle precipitazioni, Termidoro per quello del caldo, Brumaio per quello della nebbia) e le opere dell’uomo (Messidoro per quello della mietitura, Fruttidoro la raccolta dei frutti) invece di dei e imperatori. Ovviamente non si poneva il problema della Pasqua, essendo abolite le feste religiose. I mesi furono suddivisi in decadi e il giorno in dieci parti, in coincidenza con l’introduzione del sistema decimale. In ciascuna di queste decadi i giorni si chiamavano primidi, duodi, tridi, quartidi, quintidi, sextidi, septidi, octidi, nonidi, décadi. Il decimo giorno di ogni decade (décadi) era dedicato al riposo e rimpiazzava la domenica. Spariva la settimana, una grande innovazione rispetto a tutti i calendari civili e religiosi dell’Occidente. La settimana (unione di septem “sette” con matinum “mattino”) era, nella più alta antichità, associata al numero dei giorni delle fasi lunari. Solo pochi popoli antichi suddivisero il mese in decadi: in particolare gli Egizi e i Cinesi.

Il Calendario repubblicano voleva avere una valenza universale, come il sistema metrico decimale, ma già la sua formulazione contraddiceva lo stesso principio di universalità. La sua nomenclatura era adeguata al clima temperato della Francia, ma non certo a quello di altre zone della Terra. Anche i giorni supplementari creavano complicazioni.Tale calendario fu applicato negli atti ufficiali, ma incontrò molta resistenza nella popolazione, soprattutto perché andava contro una tradizione secolare e stabiliva un giorno festivo ogni dieci. E ovviamente fu fermamente osteggiato dalla Chiesa di Roma, in modo particolare per l’eliminazione della domenica. Il calendario restò in vigore solo 13 anni, fu modificato da Napoleone che ristabilì la domenica come giorno di riposo, nonché il Natale e la Pasqua, e poi fu abolito il 1 gennaio 1806. Solo durante la Comune di Parigi fu ripristinato ed entrò in vigore dal 6 maggio al 26 maggio del 1871.

Anche Filopanti in Miranda! assieme alla riforma dei fusi orari proponeva una riforma del calendario. La sua intenzione era quella di creare un calendario civile, valido per tutti i popoli della Terra partendo dal Calendario giuliano; la riforma di Papa Gregorio, secondo lui, era solo una “piccola correzione”. Inoltre era cosciente che per riformare il calendario non bastava “una grande rivoluzione politica come quella del 1789 in Francia”, ma era “necessaria ancora una rivoluzione religiosa”. Quindi la riforma a cui pensava non si poteva realizzare nell’immediato: poteva essere attuata solo nei secoli a venire. Di qui il nome Calendario futuro.

Filopanti come pensava di colmare la differenza con l’anno tropico? Proponeva una soluzione molto diversa sia da quella di Gregorio sia da quella dei sapienti della Rivoluzione francese. 4 anni avrebbero formato un ciclo, che chiamava piccolo: tre di questi sarebbero stati di 365 giorni e uno, quello divisibile per 4, bisestile. Questi piccoli cicli avrebbero fatto parte di un ciclo maggiore di 2400 anni. All’interno di questo grande ciclo gli anni di fine secolo sarebbero stati comuni, ossia di 365 giorni tranne quattro (“per esempio l’800, 1600, 2000, 2400”). Dopo 2400 anni la differenza tra la somma degli anni tropici e quella del Calendario futuro sarebbe stata di circa 34 ore. Questa differenza sarebbe stata colmata aggiungendo uno o due giorni. Questi giorni, veramente eccezionali, dovevano essere utilizzati per “celebrare i più utili e gloriosi avvenimenti del ventiquattro secoli andati” e per “ trarre un raggio di luce per illuminare e dirigere il cammino della futura Umanità.”

Nel Calendario futuro i mesi sarebbero stati di 30 giorni e i cinque giorni necessari per arrivare a 365 si dovevano inserire al termine di ogni stagione; l’ultimo alla fine dell’anno. I mesi avrebbero avuto come nomi un riferimento solo al loro ordine: Primale, Duale, Trial, Quartile, Quintile, Sestil, Settero, Ottero, Nover, Decaro, Undecaro, Ultimar, o qualcosa di simile. Ogni mese sarebbe stato diviso in tre decadi e i nomi dei giorni sarebbero stati : Primodì, Duodì,Tertidì, Quatordì . . . In un mese tutti i giorni che terminavano con 2 sarebbero stati Duodì, e quelli che terminavano con 6 sarebbero stati Sestidì e così via.

Ogni festa locale era eliminata, o portata al primo giorno festivo possibile. In ogni mese i giorni di riposo sarebbero stati il primo (Primodì) e il sesto (Sestidì) di ogni decade. In questo modo i giorni lavorativi sarebbero stati ridotti, ma «se però i giorni di riposo e di ritrovo comune dei cittadini saran messi a profitto per innalzare il loro livello intellettuale, politico e morale, cose di gran lunga più importanti che, il risparmio di qualche tonnellata di carbone», la produzione industriale sarebbe sicuramente aumentata; avverrà che “gli operai producano di più nel soli 292 giorni lavorativi di quello che potrebbero far sudando in tutti i 365 ovvero 366 dell’anno”. E tutti «avranno maggiore campo di spirare la pura aria della libertà… godranno maggiori facilità di istruirsi… di esercitare i propri diritti, e adempiere ai propri doveri infine, come cittadini dell’immenso universo coltivare i sentimenti e doveri di una verace ed elevata religione».
Il suo calendario non conteneva i nomi dei santi e riteneva anche inutile sostituirli con quelli di persone illustri. L’unica cosa importante era “per gli usi esenziali del calendario” “conoscere i nomi numerici dei giorni, 20 aprile, 25 ottobre, ecc.”

Il Calendario Futuro proposto da Filopanti fu certamente il primo vero calendario civile e universale, non a caso egli lo dedicava “ai cittadini dell’immenso universo”, e senza i difetti di quello della Rivoluzione francese.
Il Calendario futuro di Filopanti non ebbe nessuna applicazione pratica e ancora oggi pochi la conoscono, poiché gli articoli e i saggi che parlano di Filopanti “astronomo” considerano solo la sua intuizione sui fusi orari, e non poteva essere diversamente: i fusi orari hanno trovato una loro applicazione a partire dal 1884, mentre pochi hanno provato ancora a modificare il Calendario gregoriano. Ci aveva provato Auguste Comte nel 1852, nel 1884 ci provò la rivista L’Astronomie con un pubblico concorso e nel 1927 la Società delle Nazioni. Nel 1930 fu fondata la World Calendar Association che pubblicò per molti anni il periodico Journal of Calendar Reform. Un suo progetto, chiamato Calendario universale, aveva alcune analogie con il Calendario futuro di Filopanti. Ma anche questa proposta non ebbe nessun seguito. Il conservatorismo naturale dei popoli e le tradizioni secolari da mantenere hanno sempre avuto la meglio su ogni progetto di riforma del Calendario gregoriano. Senza dimenticare che il calendario è, come scrive Maiello nel suo bel libro Storia del calendario (1450-1800). La misurazione del tempo, anche “un modo per riaffermare il predominio della chiesa sul tempo, almeno nell’ambito che le è proprio, quello della liturgia”.

Gianluigi Parmeggiani*

*Astronomo di Mezzolara, ha lavorato presso l’Osservatorio Astronomico di Bologna. Ha sempre avuto un interesse per la misura del tempo e per la sua evoluzione nel corso degli anni. Ha partecipato attivamente alle diverse manifestazioni che si sono tenute a Budrio e a Bologna, lo scorso anno, per la ricorrenza dei 200 anni dalla nascita di Quirico Filopanti.

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2 Commenti


  1. Grazie,
    delle origini del calendario sapevo si e no un terzo di quanto ha scritto il Sig. Parmeggiani.
    Nell’articolo è stata narrata la storia del calendario con una semplicità disarmante.
    Complimenti ancora al Sig. Parmeggiani e grazie anche a Budrio Next che ha pubblicato.
    Loris

  2. Replico quanto scritto in precedenza.
    é stato un piacere leggere la storia del calendario.
    Danilo

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