Giovedì 10 aprile sarà in scena al Teatro Consorziale la celebre attrice romana Anna Mazzamauro, con Nuda e cruda, spettacolo che chiude l’ottima stagione budriese. L’attrice, che è anche autrice del testo teatrale, è già stata a Budrio diverse volte negli ultimi anni: Cyrano de Bergerac nel 2005 e, più di recente, Signorina Silvani… signora, prego e Brava!. Sul palco sarà accompagnata da musicisti e ballerini, per la regia di Livio Galassi.
La Mazzamauro, il cui nome viene troppo spesso associato a quello della signorina Silvani, amore proibito del ragionier Fantozzi e carattere ormai fortemente radicato nella nostra cultura, è però molto altro. E in effetti quando si parla dei suoi spettacoli non si può fare a meno di parlare di lei, tanto è forte e personale il suo lavoro a teatro. Quando le ho telefonato per proporle un’intervista, alle mie confuse spiegazioni su quale fosse la mia professione ha risposto “ah, io sono un’attrice”. E non potrebbe esserci definizione migliore che racchiuda il suo talento, la sua rara capacità di stare sul palco, la sua doppia anima di attrice comica e drammatica.
E tutto questo torna nello spettacolo in cui, come ci spiega nell’intervista a seguire, comicità e dramma si alternano per raccontare storie diverse, accomunate dal “tentativo sghembo di dire la verità”: personaggi che prendono coscienza, che si liberano di paure ed esperienza negative arrivando così ad accettare ed esibire la propria diversità. E ritroveremo anche la Silvani, ma non come personaggio, come esperienza di vita.
Ci parli del suo spettacolo Nuda e cruda…
Non voglio spaventare gli spettatori: non mi vedranno nuda, “nuda e cruda” perché è una sorta di inno alla verità alla quale non siamo più abituati. Vuoi per l’età, o meglio per privazione di innocenza, io spero di dare attraverso questo spettacolo certe sensazioni di verità, che non sono assolute, ma l’emozione del tentativo di dire la verità. Tu dirai “mamma mia, non è uno spettacolo comico”. Ma il tentativo sghembo di dire la verità può risultare anche comico: la comicità è divisa dal dramma da un filo sottile, basta spostarsi leggermente da una parte o dall’altra e si avrà quindi un effetto comico o drammatico. A me piace nei miei spettacoli dare l’emozione sia della comicità che del dramma in un’alternanza che spero gradita, come il pubblico mi ha finora dimostrato. Tolta quindi questa paura di trovarmi nuda in palcoscenico, resta l’aggettivo cruda. Cruda perché per raccontare certe verità bisogna andare fino in fondo, toccare il fondo con crudezza. Altrimenti è tutto superficiale, è tutto poco vero. Quindi nuda e cruda, nuda soltanto meglio di no, meglio cruda.
Nello spettacolo metto sulla bilancia alcune cose molto comiche, per subito dopo frenare le risate, perché la vita e il mondo non lo sono sempre. Io detesto gli spettacoli solo comici, mi annoiano e mi viene male alla mascella se rido troppo, amo invece l’alternanza ed è appunto questo che voglio proporre al pubblico di Budrio.
Lei infatti è già stata nel nostro paese diverse volte, ne ha qualche ricordo?
Io amo molto questa città, ma non lo dico per sviolinare, amo il teatro di Budrio che è bellissimo. A parte la tenerezza della cittadina mi è rimasto impresso il senso di appartenenza del pubblico, che non è una violenza, ma è un’empatia che si cimenta man mano e spero che i cittadini di Budrio si ricordino di me. I tempi, come sappiamo, sono faticosi e capisco che per una famiglia con l’equivalente del costo dei biglietti preferisca comprare un cappottino o i libri di scuola che sostituiscono egregiamente l’andare a teatro. Questo è un dolore per noi attori perché non è solo un mancato lavoro, ma è un mancato rapporto con il pubblico, che soltanto attraverso il teatro, sono convinta, si può mantenere. Io non credo nell’esibizione fine a sé stessa dell’attore, ma credo nell’empatia che l’attore crea con il pubblico.
Questo rapporto empatico col pubblico l’ho sempre percepito da spettatrice nei suoi spettacoli e credo lei lo raggiunga anche attraverso l’ironia. Lei in particolare ha sempre scherzato molto sul suo aspetto fisico, diciamo sulla sua presunta bruttezza…
Ti correggo subito: non è bruttezza, è atipicità. Brutto è altro, brutto è volgare, brutto è sporco. L’atipicità che io vivo è un altro modo di essere bella, che io mi sono costruita attraverso anni e sofferenza, infatti nello spettacolo ho raccontato aneddoti, tutti più o meno comici, il mio vissuto di tutte queste cose che a voi sembrano comiche, finché non ho imparato a raccontare il valore struggente della bruttezza, ho imparato a vivere sola come un despota, come un’imperatrice delle brutture.
Questo senso era infatti molto presente nello spettacolo Signorina Silvani… signora, prego, il personaggio della Silvani avrebbe potuto caratterizzare troppo il suo lavoro, invece mi sembra che lei sia riuscita a farlo proprio
È stata una cosa riuscita, anche qui ci sono riferimenti alla Silvani, è una maschera di cui ormai non posso fare a meno. Quando parlo della Silvani mi metto in faccia la maschera e divento lei, ma sta volta l’ho usata per raccontare il dietro alle quinte della macchina da presa, che credo piaccia al pubblico. Il raccontare quindi il cinema: la prima volta che affrontavo il cinema, i miei timori e la comicità di rimando, il trucco, il parrucco, la sartoria, le comparse che mi hanno preso in giro. Gli aneddoti mi danno la possibilità di prendere in giro me stessa, ma anche di prendere in giro la Silvani: mi ha rotto le scatole per vent’anni e adesso io mi vendico, mettendola in palcoscenico come voglio io. Però la differenza tra quello che hai visto tu e questo è che io uso la Silvani per raccontare la solitudine delle donne, sempre in chiave comica, donne abituate da tanto tempo in un gioco perverso a fare in modo che gli uomini abbiano la meglio sulle loro proposte. “Cara sta sera ceniamo insieme, sei contenta?” “Sì ma i piatti poi chi li fa? Io”. “Sì ma dopo faremo molto amore, sei felice?” “Sì, ma domani il letto chi lo fa? Io”. In questo senso uso la Silvani, per raccontare la solitudine di una donna.
Cosa ci dobbiamo aspettarci oltre alla Silvani?
Sì, come ti dicevo nello spettacolo io non parlo solo della Silvani e della mia comicità, ma alterno il dramma. Ho inventato questo racconto dedicato alla madre di Melania Rea, o comunque a tutte le madri a cui hanno strappato figlie a colpi di coltellate, di bastonate, di spari, in quello che si definisce con quel termine orrendo “femminicidio”, che è comunque un omicidio ed è straziante per chi lo subisce. Poi ho dedicato un altro brano alla donna che ha subito uno stupro, ho dedicato alla Magnani la telefonata che ha ricevuto da Rossellini.
Infatti lei è anche autrice di questo spettacolo…
Sì ho scritto io lo spettacolo, spettacolo che è tratto da un libro di DiamonD EditricE che ho presentato da Feltrinelli. E per me è stato strepitoso perché mi hanno considerata come una scrittrice vera, e questo mi ha commosso e meravigliato.
Ma lei è autrice da tanti anni!
Perché l’adattamento e la scrittura fanno parte del complesso teatrale, io non scrivo romanzi, anche se il mio editore, Simone di Matteo, vuole assolutamente che lo faccia, ma io gli ho detto che non ne sono capace. Io ho scritto per il teatro, ma per me stessa, non sarei neanche capace di scrivere per altre persone. Diciamo che io traduco i miei pensieri e li rendo accessibili a un’attrice che casualmente sono io.
Maria Ludovica Piazzi