di Barbara Bacco*
Il principio dello ius sanguinis (L.91 del 1992) è il diritto di sangue che determina come unico mezzo di acquisizione della cittadinanza la discendenza e la filiazione, mentre lo ius soli fa riferimento alla nascita sul “suolo”, sul territorio dello Stato. Per i paesi che applicano lo ius soli è cittadino originario chi nasce sul territorio dello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza posseduta dai genitori.
Il minore immigrato può essere considerato, in base allo jus sanguinis, come erede della cittadinanza del paese d’origine dei propri genitori, oppure, in base allo jus soli, può essere assimilato alla cultura e alle leggi del paese dov’è nato. Il minore immigrato è spesso identificato come immigrante della seconda generazione, la quale rappresenta la generazione di coloro che sono nati in Italia o che vi sono giunti nella prima infanzia e che vivono la prima parte del loro processo di crescita e di apprendimento dividendosi tra due mondi: il minore può essere considerato come parte della cultura di origine, privilegiando così la continuità ed il legame storico con il paese di provenienza dei genitori, oppure può essere assunto all’interno della cultura del paese ospite attraverso un processo che dovrebbe condurre alla definizione di una nuova appartenenza.
Da un punto di vista psicologico e relazionale i bambini e gli adolescenti della seconda generazione si distinguono rispetto ai propri genitori in quanto la loro acquisizione dell’identità culturale e della percezione del sé oscilla tra un sistema culturale legato al proprio nucleo d’origine, e quindi emotivamente significativo ed intenso, ed un sistema di significati e di simboli socialmente forti legati alla società d’accoglienza: tale oscillazione fa percepire al minore la sua diversità rispetto ad entrambi questi contesti relazionali.
Sulla base di queste considerazioni è possibile, quindi, considerare il concetto di cittadinanza, intesa come dimensione sociale in cui il soggetto è inserito e si forma, come “confine mobile” che ha un duplice significato. Da un lato la cittadinanza rappresenta un elemento di inclusione e di uguaglianza dove i confini che definiscono l’ingroup (gruppo di appartenenza) sono utili sia per lo sviluppo di un senso di appartenenza alla collettività sia per lo sviluppo di un senso di lealtà nei confronti delle istituzioni. Dall’altro lato, al contrario, la cittadinanza può rappresentare uno strumento di esclusione e di chiusura sociale, in cui quegli stessi confini consentono di distinguere chiaramente tra chi fa parte della comunità dei cittadini (insiders) e chi, invece, ne è fuori (outsiders).
Rispetto a questi concetti i minori della seconda generazione possono non vivere con la stessa intensità chiari sentimenti di appartenenza alla cultura d’origine dei genitori, poiché essi costruiscono la propria identità personale su valori e modelli appartenenti a molteplici contesti di vita (familiare, amicale, scolastico, sociale).
Da un punto di vista psicologico il riconoscimento e l’accettazione da parte della comunità e della società in cui si vive è una parte importante del processo di formazione dell’identità personale. L’identità personale e sociale sono concetti strettamente connessi tra di loro, dove il sentimento di identità è fortemente influenzato dalla consapevolezza che l’individuo ha di appartenere ad un determinato gruppo sociale e culturale.
Ogni soggetto, fin dalla sue prime esperienze relazionali fuori dal contesto familiare, necessita di essere riconosciuto dagli altri per poter costituire la propria identità personale, poiché l’identità personale non può crearsi e svilupparsi al di fuori del rapporto sociale.
È così possibile introdurre il concetto di “multiculturalismo” basato sull’idea che una società eterogenea non può essere fondata sulla presenza di differenti comunità culturali indipendenti tra loro dove non sia possibile una partecipare condivisa alla vita sociale. Per fare ciò è necessario che i gruppi minoritari adottino i valori fondamentali della società in cui si stabiliscono e che il gruppo dominante sia disponibile a modificare alcuni elementi delle proprie istituzioni al fine di venire incontro ai bisogni di tutti i gruppi presenti nella società. Questa integrazione abbassa il rischio che si sviluppino condizioni di pregiudizio etnico, meccanismo mentale che ha un ruolo predominante nello sviluppo degli atteggiamenti etnici in età evolutiva in quanto forme di pregiudizio possono comparire nei primissimi anni di vita, caratterizzando in modo significativo sia il funzionamento cognitivo che la vita sociale del bambino.
Barbara Bacco, budriese, è specializzata in psicologia della famiglia e della coppia, psicologia dell’eta’ evolutiva ed adulta e psicologia giuridica.