Nel corso della IIª Guerra Mondiale Budrio ha avuto il suo angelo custode: Migliorato Salutanzi. Elmetto in testa, notte fonda, bombardamenti fragorosi, cuore in subbuglio, il coraggio che vacilla, sorretto però dalla ferma convinzione di dover prestare assistenza in qualsiasi momento. «La gente ha bisogno di me e io non me ne vado», questa era la frase cha ripeteva il dottor Salutanzi a chi gli chiedeva il motivo per cui aveva scelto di restare a Budrio durante il periodo bellico. Sempre fedele a se stesso e alla propria missione, conscio dell’importanza dell’assistenza medica soprattutto in un frangente drammatico come quello che ha caratterizzato i mesi precedenti la liberazione.
Mai nel corso della sua vita Migliorato si è soffermato sulle numerose buone azioni compiute, dimostrando profonda affinità con il pensiero espresso dal campione di ciclismo Gino Bartali, divenuto «Giusto tra le Nazioni» nel 2013: «Il bene si fa, ma non si dice».
UN MEDICO CHE VIENE DA LONTANO
Migliorato Salutanzi nasce il 17 marzo 1895 a Controguerra in provincia di Teramo (Abruzzo). Il padre Giuseppe è un maestro di scuola e la madre Elisa Valeri, figlia di un medico, si occupa delle questioni domestiche. La buona condizione economica della famiglia Salutanzi permette a Migliorato, alle sorelle – Lidovina e Maria – e al fratello Goffredo di studiare con serenità. Il futuro medico di Budrio frequenta le scuole elementari nel paese natale e poi prosegue il suo percorso formativo accanto ad uno zio prete. Per Migliorato questi anni sono densi di malinconia dovuta ad una quotidianità priva di qualsiasi forma di dinamismo e vivacità. Nel 1909 Salutanzi entra in un collegio di Teramo ed inizia il Liceo, che si concluderà nel 1914 con il diploma di maturità. A questo punto il giovane abruzzese è posto davanti ad una decisione fondamentale: la scelta della facoltà universitaria. Migliorato riflette per alcuni mesi e, al termine dell’estate, le idee sono più chiare e lo portano ad iscriversi alla facoltà di Medicina dell’Università di Bologna. Salutanzi si trova subito a proprio agio, ma purtroppo nel 1915 – poche settimane dopo l’ingresso dell’Italia sullo scenario della Iª Guerra Mondiale – viene chiamato alle armi. Con il grado di sottotenente, dovuto al titolo di studio conseguito, lo studente è mandato al fronte, in cui è costretto a fare i conti con l’asprezza dell’esistenza. Le giornate bolognesi sono presto un pallido ricordo e Migliorato si trova immerso nell’esperienza bellica che, oltre all’inevitabile sconforto, ne rafforza la convinzione di essere portato per la medicina. Vedere i commilitoni sofferenti è per Salutanzi una tortura indicibile, che tenta di mitigare offrendo il proprio aiuto. Al termine della Iª Guerra Mondiale, il ventitreenne di Controguerra riprende l’Università. Durante le sue passeggiate cittadine, Migliorato conosce Albertina Montanari, una ragazza dotata di un carattere forte e deciso. Salutanzi si innamora e comincia a recarsi spesso nel negozio di via Orefici di proprietà della famiglia della fidanzata.
LE ESPERIENZE IN AFRICA E A CÀ DI LANDINO
La laurea giunge dopo pochi anni, ma non appaga totalmente il futuro budriese, che sente l’esigenza di mettersi ulteriormente alla prova nonostante le offerte di lavoro non manchino. Migliorato si iscrive ad un corso di specializzazione per la cura delle malattie tropicali. Conclusa la parte teorica, Salutanzi decide di andare in Africa per mettere in pratica tutto ciò che ha appreso. La possibilità di aiutare molte persone, prive di un reale sostegno medico, permette al dottore di entrare in sintonia con la propria missione: i pazienti rappresentano degli esseri umani unici ed irripetibili, che devono essere curati facendo appello prima di tutto alla sensibilità.
Durante il biennio africano Migliorato contrae un’ameba, protozoo del fegato, che alcuni decenni dopo ne comprometterà la salute. Nel 1928 Salutanzi torna in Italia e sposa Albertina Montanari. Dopo pochi mesi il giovane si trasferisce con la moglie a Cà di Landino (Castiglione dei Pepoli), località dove è posto uno dei cantieri più grandi sulla tratta ferroviaria denominata La Direttissima. Gli uomini al lavoro sono numerosissimi e Migliorato è l’unico dottore che presta assistenza: in caso di incidenti, a causa del complicato trasporto in ospedale, il medico è costretto a compiere delle operazioni chirurgiche, ingessature e a curare delle infezioni. In quel periodo gli antibiotici non sono ancora utilizzati e il compito affidato ai dottori è costellato da infinite difficoltà. Nel corso degli anni passati a Cà di Landino nascono i due figli Paola e Giuseppe, che rappresentano per Salutanzi una gioia immensa. Il rapporto con la moglie e i giovanissimi pargoli aiuta Migliorato a superare la sua timidezza e a concedersi qualche istante di distrazione.
L’ARRIVO A BUDRIO
Nel 1930 il dottore abruzzese vince il concorso per la condotta di Vedrana e nel 1936 diventa il medico condotto di Budrio. Il rapporto con il nostro Comune è subito speciale: Salutanzi apre il suo ambulatorio nello stesso edificio in cui vive in viale Primo Maggio (dove oggi è situato il Liceo Giordano Bruno) e, nei primi tempi, si reca dai pazienti usando il cavallo o il calesse. La professione medica dona una certa serenità finanziaria, ma non consente molte divagazioni. Migliorato appare burbero e scontroso, ma bastano poche parole per comprenderne l’umanità, accompagnata da una modestia quasi eccessiva. La maggior parte dei pazienti non è in grado di retribuire il medico, che riceve la loro gratitudine attraverso dei regali di animali e prodotti naturali. Salutanzi comprende la situazione e agli ammalati più poveri, al termine della visita, lascia cinque lire sotto il cuscino, negando fermamente di aver mai compiuto un gesto simile. Gli abitanti di Budrio restano spesso colpiti dalla dedizione del loro medico. Per Migliorato non ci sono orari, quando è chiamato si affretta immediatamente, magari dopo qualche bonaria imprecazione, al capezzale del malato. A questo proposito, le parole di Gioconda Canè esprimono in modo preciso lo spirito del medico condotto: «La cosa che più di ogni altra ho serbato nel cuore con affettuosa gratitudine è questa: era il giorno di Natale del 1940. Mio babbo da qualche giorno stava lottando con una broncopolmonite. Era anche malato di asma per cui respirava a fatica. Il nostro medico [Migliorato Salutanzi] lo curava assiduamente con i pochi mezzi allora disponibili, ma quel giorno noi notammo un aggravamento e io andai a chiamare il Dottore. Lasciò la sua famiglia a tavola e corse dal suo paziente (che morì il giorno dopo).
Al momento non mi resi conto della grandezza del suo gesto, soltanto molto tempo dopo a mente fredda ho potuto capire e apprezzare il suo gesto.».
IL RAPPORTO INDISSOLUBILE
Nel difficile periodo segnato dall’occupazione tedesca e dall’offensiva Alleata, Salutanzi resta a Budrio. La figlia Paola ricorda i numerosi cambi di abitazione – “sfollati” a Vedrana e poi a Palazzo Boriani della Noce – e l’apprensione per le uscite del padre. L’ambulatorio di Migliorato viene spostato nel Palazzo del Comune ed anche in quella sede inusuale il medico condotto continua a prestare assistenza senza sosta fino alla liberazione, dimostrando una incrollabile fedeltà alla propria missione.
Salutanzi non smette di essere severo ed esigente con se stesso. Il suo volto appare a volte segnato da un’espressione malinconica, diretta conseguenza dell’impossibilità di guarire ogni malato. La morte di un paziente è per Migliorato fonte di tristezza e di pressanti interrogativi.
Fino al 1965, anno della pensione, il medico di Budrio prosegue instancabile il suo lavoro: l’attenzione all’igiene, l’udito straordinario e la sensibilità lo accompagnano costantemente. Purtroppo, alcuni mesi dopo la fine dell’attività come dottore, la cirrosi epatica, causata dall’ameba contratta in Africa quasi quarant’anni prima, peggiora e nell’arco di pochi mesi lo porta alla morte. Salutanzi non abbandona Budrio neanche in questo caso, scegliendo di essere sepolto nel cimitero del nostro Comune, meta di molti budriesi che spesso si fermano davanti alla tomba del loro medico: l’indimenticabile Dottor Migliorato.
Ringrazio Elisa Salutanzi, Paola Salutanzi, Gioconda Canè, Malva Miccoli ed Ezio Venturoli.
Leonardo Arrighi
Questi Grandi Uomini, ci debbono fare riflettere, e devono esserci di esempio anche nel nostro “quotidiano”.Complimenti per questo articolo così ben scritto.