Il Natale della Budrio di una volta

22 dicembre, 2014

Mancano pochi giorni all’inizio ufficiale delle festività natalizie, che sono una grande occasione per stare vicino alle persone care, facendo una escursione nel passato. Sarebbe splendido se ogni ragazzino chiedesse al nonno di raccontargli alcuni aneddoti sulle giornate festive di qualche decennio fa: le scoperte saranno assicurate e i regali più ispirati verranno proprio da uomini e donne che sono parte della nostra quotidianità.

FOTOGRAMMI DAL PASSATO
Giungere in piazza Filopanti nei primi anni ’50 e trovarsi immersi in un mercato ricco di oggetti, ma soprattutto di pesce, nelle sue varie declinazioni: fresco, cucinato in umido, fritto. Proprio le anguille fritte la facevano da padrone tra i banchi della piazza. I budriesi intenti e attenti nel compiere il fatidico gesto dell’acquisto, in previsione della cena della vigilia: rigorosamente a base di pesce.
Basterebbe entrare nelle abitazioni, comprese le più umili, per imbattersi in un presepe: a volte sontuoso a volte essenziale, ma sempre provvisto di una luce abbacinante, quella della speranza.
È il 31 dicembre, corriamo al Teatro Consorziale che è vestito a festa per ospitare i budriesi, pronti ad accogliere il nuovo anno tra le colte braccia del magnifico luogo dove solitamente si recita, mentre questa sera si fa sul serio.

Siamo nel nuovo anno, con tutte le sue incertezze, ma un punto fermo esiste: l’Epifania celebrata al Teatro. Quanti bambini pronti ad afferrare piccole strenne, magari le uniche che la famiglia possa permettersi. Quanti adulti felici nell’osservare i propri figli pieni di vitalità e già alle prese con un freddo mese di gennaio, riscaldato dal fuoco dell’amicizia e dalla voglia di divertirsi.
Quante cose avranno da raccontare i nonni, memoria storica di periodi difficili, superati senza ricetta magiche, ma soltanto con la ferma intenzione di cercare dei punti di contatto con il prossimo, probabilmente generoso dispensatore di buoni esempi, che nel periodo di Natale equivarrebbero a dei veri doni.

Leonardo Arrighi

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