Per oltre trent’anni il dottor Benedetto Orsoni è stato, prima da responsabile e poi da direttore, il punto di riferimento dell’Istituto “San Gaetano” di Budrio. Dopo alcuni anni trascorsi come chirurgo, Orsoni dedica la propria vita alle persone affette da disagi psichici, conducendo numerose battaglie, tra cui quella per far ottenere una pensione ai pazienti dell’Istituto. Il medico budriese ha promosso continue iniziative, nate all’insegna della ricerca di una reale integrazione tra “i suoi Ragazzi” e la società.
QUELLE LETTERE SPECIALI
Benedetto Orsoni seduto alla propria scrivania, intento a creare innumerevoli lettere da donare ai pazienti del San Gaetano: “i suoi Ragazzi”. Poche persone ricoverate nell’Istituto budriese ricevevano regolarmente delle missive dai parenti ed allora il Dottor Orsoni si incaricava di scrivere personalmente delle lettere, firmandole con i nomi dei famigliari dei pazienti. La gioia dei destinatari di questi messaggi pieni di amore, il sorriso ritrovato e quei preziosi fogli posti in una tasca in prossimità del cuore. Per non parlare della commozione di Benedetto che, nell’osservare “i suoi Ragazzi” di nuovo animati dalla speranza, comprendeva di aver compiuto un’azione giusta, capace di donare felicità grazie ad una delle falsificazioni più vere ed autentiche a cui la nostra mente possa pensare.
LA FORMAZIONE
Benedetto Orsoni nasce a Budrio il 7 novembre 1929. La famiglia in cui cresce il futuro medico è composta dai genitori e da sei figli (compreso Benedetto). Le difficoltà economiche sono all’ordine del giorno e i ragazzi maturano velocemente, ben consapevoli delle asprezze dell’esistenza. A quattordici anni Orsoni si iscrive al Liceo Righi di Bologna: i risultati del giovane studente sono subito incoraggianti. Benedetto dimostra notevoli capacità ed un temperamento risoluto, che a volte gli causa i rimproveri dei professori. Durante il terzo anno di Liceo, una lite con un docente porta alla sospensione di Orsoni per un mese. Questo episodio e la successiva bocciatura accelerano la formazione di un forte senso di responsabilità da parte del budriese che, dopo lunghe discussioni con il padre, comprende a pieno il valore dei sacrifici fatti da tutta la famiglia. Benedetto sceglie di condensare due anni in uno, riuscendo così a recuperare il tempo perduto. Dopo il diploma, il diciannovenne sceglie la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Bologna: il sogno di diventare dottore appare più vicino.
L’ARRIVO AL SAN GAETANO
Nel corso degli anni passati tra le aule universitarie, Orsoni conosce la futura moglie Paola e nel 1955 deve fare i conti con la prematura morte del padre. L’anno successivo lo studente consegue la Laurea, trovando immediatamente una occupazione nel reparto di Chirurgia dell’Ospedale di Budrio, dove Benedetto ottiene la specializzazione e l’abilitazione come chirurgo.
Il 30 novembre 1957 Orsoni sposa Paola e nel mese di maggio del 1958 nasce la prima figlia Cinzia. La professione svolta appaga il giovane medico, che però sente una forte attrazione per la cura delle persone con disabilità psichiche. Nella seconda metà degli anni ’50 Benedetto riceve alcuni incarichi all’interno del San Gaetano, in cui prova la sensazione di essere a contatto con degli esseri umani speciali e pieni di potenzialità inespresse. Attorno al 1961 – un anno prima della nascita della seconda figlia Daniela – il Dottore assume l’incarico di Responsabile dell’Istituto “San Gaetano”, avviando così una meravigliosa avventura durata oltre trent’anni.
Orsoni ricopre vari ruoli – medico, dentista e psicologo – senza mai mostrare alcun segno di stanchezza. L’impegno è enorme, ma la missione risulta più importante. Benedetto ottiene presto un risultato fondamentale: ad ogni paziente viene destinata una pensione. L’obiettivo più ambizioso è però quello di avviare un percorso di reale integrazione tra i ricoverati e la società. I cancelli del San Gaetano erano stati aperti già da alcuni anni, ma i Ragazzi non traevano nessun beneficio da queste uscite, prive di qualsiasi forma di proficua interazione con gli abitanti di Budrio.
LE NUMEROSE INIZIATIVE
La volontà di Orsoni di far comprendere che le persone affette da disagi psichici hanno qualcosa da offrire non vacilla mai. All’inizio degli anni ’70 si verifica il primo vero inserimento: Ferruccio Lorenzini, detto Cri, è messo nella condizione di poter esprimere la propria capacità di creare cesti di vimini. I contadini cominciano a chiamare Cri a casa loro e dopo alcuni mesi Ferruccio è coinvolto in una iniziativa scolastica. Cri si reca numerose volte alle Scuole Medie ed insegna agli alunni come creare dei cesti di vimini, ma il dialogo spazia senza confini e Ferruccio riesce a raccontare la propria storia, stringendo uno splendido rapporto con gli studenti.
Nello stesso periodo Orsoni ed alcuni stretti collaboratori riescono a prendere contatti con il Circolo Ippico di Molinella, organizzando una serie di giornate dedicate all’ippoterapia. I pazienti del San Gaetano vengono portati anche a Lavarone (Trento) per poter imparare a sciare. Il maestro Giulio Corradi (atleta professionista) rimane colpito dall’impegno con cui gli allievi si dedicano allo sport. Le differenze si riducono costantemente: i Ragazzi sono invitati a prendere parte alla “1000 Grobbe”, una famosa gara di sci di fondo organizzata dal Comune di Luserna.
Le attività diventano sempre più numerose: in estate i pazienti vengono portati a Cervia per fargli conoscere il mare. L’esperienza non si limita a delle piacevoli settimane trascorse in spiaggia, ma va ben oltre: attraverso il rapporto con il Circolo Velico, i ricoverati del San Gaetano riescono a salire su una barca da regata e a provare delle irripetibili emozioni.
Divenuto Direttore nel 1981, Orsoni continua la propria opera, motivato dalla gioia espressa dai “suoi Ragazzi”. L’allestimento di mostre all’interno dell’Istituto, l’organizzazione di un torneo di calcio sui campi della Parrocchia della Pieve di Budrio nel 1984 e la vista ai campioni della Juventus nel 1985 rilanciano continuamente l’attività, che non si esaurisce mai fino al 1992: quando Benedetto, non senza qualche incomprensione, è costretto a lasciare il San Gaetano. Gli anni da pensionato lo vedono impegnato come volontario dell’ANT di Budrio, di cui sarà Presidente per cinque anni. Orsoni non nega mai il proprio aiuto, donato anche mediante il sostegno psicologico offerto a chiunque ne avesse bisogno. Persino durante la malattia, che il 29 ottobre 2003 lo condurrà alla morte, l’indimenticabile Dottore continua a pensare prima agli altri che a se stesso, lasciando un testamento spirituale ben sintetizzato dalle parole scritte nel retro di una cartolina dedicata alle esperienze dei “suoi Ragazzi”: «Tu che partecipi alle cose del mondo!…Tu che conosci lo slancio dei giorni migliori!…Tu che vivi l’entusiasmo di andare e tornare!…Tu che canti e ridi per le valli del sole!…Guarda questa cartolina, dove da poco, anche chi non ha mai potuto farlo, tenta di vincere e vince con la tua stessa felicità. Spediscila questa cartolina, ad un amico, ad un parente; fai conoscere a chi conosci cosa si può ottenere, quando l’incredibile diventa vero e l’handicap “selvaggio” diventa tanto docile da saper regalare a chi lo vive, molte delle emozioni con le quali sempre ci si identifica nell’essere protagonisti.».
UN NOME: UN DESTINO
La scelta di assegnare il nome Benedetto al loro figlio da parte di Marino Orsoni e della moglie Maria Ferri è stata, con ogni probabilità, dettata dalla stima nutrita dal padre – ragioniere dell’amministrazione degli Ospedali di Budrio – nei confronti di Benedetto Schiassi. Per un budriese questo nome rappresenta una pesante eredità, che Orsoni ha saputo accogliere in modo eccezionale, attribuendo la massima rilevanza all’osservazione dell’Uomo. Non si può dimenticare l’abnegazione del Direttore del San Gaetano, al lavoro dal lunedì al sabato e anche alla domenica (mattina e sera), sempre pronto a sostenere il proprio obiettivo principale: l’avvio di un processo di integrazione, che fornisse la possibilità ai Ragazzi di confrontarsi con il mondo esterno all’Istituto, ricevendo però il rispetto dovuto ad ogni essere umano.
Leonardo Arrighi
Ho avuto la fortuna di conoscerlo e mi rimane nel cuore la certezza di aver conosciuto un grande uomo.
Benedetto Orsoni, il medico della mia infanzia.
Quando, da piccolo malato, preda della varicella, del morbillo o del mal di gola, vedevo arrivare la sua Seicento, già mi sentivo meglio.
Le medicine, certo, ma anche le parole – rassicuranti, espresse con il sorriso di chi ti sta dicendo che poi anche la “tosse cattiva” si può superare – erano il viatico per una guarigione che già potevi toccare con mano, anche se la febbre era a 39.
E poi le estati a Cervia, stessa spiaggia, stesso mare. Io, forse bambino un pò ipocondriaco, rassicurato di andare in vacanza con la mia famiglia, il dottore e la famiglia del dottore. Che poi era parte della famiglia.
CI sono persone che lasciano un ricordo indelebile e un sentimento di riconoscenza vera nella memoria di un bambino. Benedetto Orsoni era una di queste.