Il libro E suonarono le campane…Budrio, 20 aprile 1945, ore 10.10 di Elena Davalli, presentato nel contesto della kermesse Primaveranda, è una testimonianza storica relativa agli ultimi giorni della IIª Guerra Mondiale. Le parole dell’autrice non sono il risultato di rielaborazioni successive, ma sono proprio fermate su carta in quei drammatici momenti.
Le pagine di questo diario restituiscono al lettore la tensione che ha accompagnato la sospirata attesa dell’arrivo degli Alleati. Le emozioni, provate dopo la distruzione del campanile della Chiesa di San Lorenzo e dopo il ristoratore suono delle campane, avvenuto il 20 aprile 1945, accrescono la convinzione che la storia locale sia una chiave di accesso privilegiata per comprendere qualsiasi avvenimento.
ADELE ALLA SCOPERTA DELLA NONNA
Riflettere sulla pubblicazione del diario di Elena Davalli significa tenere conto del modo in cui la testimonianza è diventata libro. Il merito deve essere assegnato ad Adele Gentili, nipote di Elena. L’interesse per la storia – coltivato tra i banchi della terza media, che frequenta attualmente – ha portato Adele a non accontentarsi delle parole scritte sui manuali, tentando di rintracciare pensieri pieni di vita e privi di sovrastrutture. Questa indagine l’ha guidata fino a quelle pagine scritte dalla nonna durante gli ultimi giorni della IIª Guerra Mondiale.
Il recupero della documentazione è stato possibile grazie ad Andrea Gentili, padre di Adele e figlio di Elena, che ridando slancio al suo amore per la storia è riuscito a ritrovare materialmente il diario.
Adele e Andrea, curatori del libro E suonarono le campane…Budrio, 20 aprile 1945, ore 10.10 (Edizioni Stilelibero), hanno trascritto al computer i pensieri di Elena, stupendosi della lucidità con cui una ragazza di ventitré anni era riuscita a dare corpo ad una istantanea verbale di quei giorni così drammatici, ma anche così densi di speranza. Padre e figlia hanno deciso che il significato di quanto scritto avrebbe avuto un valore sociale soltanto se fosse confluito in una pubblicazione, fruibile da chiunque.
A questo punto ha inizio il lavoro di Adele e Andrea: entrambi impegnati nel tentativo di costruire, attorno alle parole di Elena, un reticolato, di informazioni umane e storiche, capace di fornire al lettore ulteriori chiavi di lettura. Il tentativo è diventato realtà nel libro che si configura come un dialogo a più voci. Le introduzioni della nipote e del figlio sono coadiuvate dalla prefazione di Lorenza Servetti, dalla postfazione di Angelo Varni e dalle testimonianze di Gioconda Canè e Annino Magli. Il diario di Elena resta centrale e lo diventa ancor di più grazie all’inquadramento storico presente nella pubblicazione, ben corredata da fotografie: in questo caso le fonti sono numerose, in particolare la collaborazione offerta dall’Archivio Montanari-Pazzaglia risulta imprescindibile.
IL DIARIO
Immersa in quei giorni di aprile del 1945, quando tutto può ancora accadere e il finale di quel tragico conflitto non è ancora stato scritto, Elena Davalli sceglie di affidare alla penna e alla matita le proprie riflessioni, animate dal desiderio di sentirsi utile, mettendo al servizio di chi le stava vicino le proprie capacità letterarie. Elena, ventitreenne studentessa di Lettere dell’Università di Bologna, descrive accuratamente le giornate che vanno dal 15 al 22 aprile: la costruzione del rifugio, il timore per le rappresaglie tedesche, la paura per i bombardamenti degli Alleati si fondono ad una infinita serie di emozioni, spesso contraddittorie. La stanchezza e la disperazione sembrano impadronirsi della scena, ma una risata riporta sempre la speranza al centro dei pensieri di Elena.
Il crollo del campanile della Chiesa di San Lorenzo, minato dai tedeschi, appare come il punto di non ritorno, invece diventa un motivo in più per solidarizzare con le altre persone. Il giorno successivo gli Alleati arrivano a Budrio: due soldati salgono sulla torre dell’orologio del Palazzo Comunale e alle 10.10 suonano le campane. A questo punto è giusto cedere la parola proprio ad Elena Davalli, che descrive splendidamente la reazione dei budriesi a quel suono di campana, primo passo verso la resurrezione postbellica: «Tutti si fanno sulle porte dei rifugi e sulle strade; ci si abbraccia a vicenda anche non conoscendoci, con le lacrime agli occhi, tutti sporchi, spettinati; gli uomini sembrano degli evasi di prigione, con barbacce lunghe e ispide. Sono attimi di gioia, di felicità, di commozione; sensazioni, attimi, che occorre averli trascorsi, per poterli non descrivere, che non è possibile, ma sentirli nell’animo».
L’immediatezza delle riflessioni presenti nel diario annulla i confini tra testimonianza storica ed umana, rimarcando l’inconsistenza dei limiti che spesso hanno posto la storia in una dimensione troppo distante dal suo artefice: l’uomo.
Leonardo Arrighi