L’artista giramondo, la storia del budriese Francesco Cocchi

8 ottobre, 2015

La vita del budriese Francesco Cocchi racconta la storia di un uomo determinato nel voler inseguire il suo sogno: diventare un artista. Vinte le resistenze paterne, Francesco comincia la propria avventura all’età di diciotto anni. Bologna, Roma, Lisbona, Copenaghen, Pietroburgo, Berlino, Parigi, Londra e Amburgo sono stati i luoghi in cui il suo talento artistico ha brillato. I teatri più prestigiosi d’Europa lo hanno visto grande protagonista come scenografo, che sarà l’occupazione preferita di un intellettuale eclettico e dinamico.

LA PASSIONE PER IL DISEGNO
Francesco Cocchi nasce a Budrio il 13 febbraio 1788. Il padre Clemente è un agiato commerciante e cresce il figlio, tentando di impartirgli una serie di dettami legati esclusivamente agli aspetti pratici dell’esistenza. Francesco subisce le scelte paterne fino all’età di diciotto anni, quando il ragazzo segue le prime lezioni del budriese Faustino Trebbi (architetto, pittore ornatista e quadraturista). Cocchi riesce finalmente a dare forma al sogno coltivato sin da bambino: il disegno diventa il mezzo espressivo attraverso cui manifestare la propria sensibilità. Le capacità del giovane appaiono subito notevoli e nel 1807 comincia a frequentare la Regia Accademia di Belle Arti di Bologna. Francesco conosce vari professori – tra cui Berti, Braccioli, Palagi e soprattutto Basoli – ultimi eredi della tradizione artistica bolognese. Basoli instaura un rapporto molto stretto con Cocchi, che lo sceglie come punto di riferimento fondamentale nella sua crescita professionale. Nel 1810 Antonio Basoli pubblica La raccolta di prospettive serie, rustiche e di paesaggio e il ventiduenne budriese disegna buona parte delle incisioni presenti nel libro. Attraverso gli insegnamenti dell’autore, Francesco affina il gusto del “per angolo”, approfondisce lo studio del colore, assimila il profondo rigore nella ricostruzione stilistica e storica (tipico del periodo neoclassico) e apprende gli strumenti tecnici per poter condurre la ricerca dell’espressione atmosferica e pittorica, che anticiperà la piena età romantica.

LE ESPERIENZE A ROMA E A LISBONA
Nel 1811 Cocchi parte per Roma dopo aver vinto l’alunnato romano, borsa di studio conferita a studenti meritevoli. Nella meravigliosa città, il ragazzo di Budrio studia con grande ardore e si sofferma spesso ad osservare i monumenti e le rovine di epoca classica, che offrono una infinita quantità di stimoli artistici. Francesco si mette alla prova come scenografo e, concluso il biennio come studente, inizia l’attività al Teatro Argentina. Dal 1813 Cocchi lavora con continuità, mettendo in scena (tra le altre) le opere: Amuratte II di Raimondi, Il trionfo di Alessandro Magno di Andreozzi, Tancredi di Rossini.
Nel 1815 – mentre Roma vede la restaurazione del potere papale – Francesco si trasferisce a Lisbona, dove lo zio Saverio Fabbri (architetto del Re del Portogallo) decide di chiamarlo per collaborare all’opera di ristrutturazione del Palazzo di Belém. Il rapporto con lo zio si complica dopo pochi mesi a causa di alcune divergenze, ben accompagnate dal desiderio di autonomia creativa del giovane budriese, naturalmente allergico alla subordinazione. Cocchi non si perde d’animo e trova un impiego al teatro S. Carlos (di Lisbona) per cui dipinge varie scene e rinnova tutta la decorazione della sala più prestigiosa.

IL VIAGGIO MANCATO A PIETROBURGO E IL SOGGIORNO IN DANIMARCA
Nel 1817 Francesco – accettando l’invito del Console di Russia a Lisbona – parte per Pietroburgo. Una violentissima tempesta ostacola il viaggio e costringe l’artista italiano a fermarsi a Copenaghen. Il maltempo persiste, prolungando il soggiorno danese. Durante le settimane di attesa Cocchi scopre una città ricca di fascino e, complici molte inattese offerte di lavoro, il budriese decide di stabilirsi a Copenaghen: dove rimarrà per ben tre anni, producendo alcune importanti scenografie per il Teatro Reale. Nel corso della permanenza nella capitale della Danimarca, Francesco instaura un difficile rapporto con il direttore del Teatro Reale, che non condivide l’intransigenza dello scenografo. La rottura definitiva avviene quando l’artista decide di mettere in scena un balletto, realizzato con una personale ed innovativa tecnica definita “a colpi di scena”. Il direttore si oppone, giudicando inattuabile il progetto. Cocchi interrompe la collaborazione, proponendo l’idea ad un piccolo teatro della periferia di Copenaghen. Lo spettacolo realizzato da Francesco stupisce il pubblico, che diventa sempre più numeroso, decretando un successo senza precedenti. Il dinamismo delle scenografie e le repentine ridefinizioni dei riferimenti prospettici caratterizzano le creazioni del budriese, capace di adattarsi ad una infinità di soggetti.

LA VITA AD AMBURGO E IL TRAGICO INCENDIO
Nel 1820 Cocchi si trasferisce ad Amburgo, dove comincia a lavorare per un teatrino specializzato in spettacoli di orrore e di brivido. Nella città tedesca l’artista conosce Adele Deede, donna colta ed appassionata. Nei primi anni ’20 Francesco sposa Adele, che sarà la sua insostituibile compagna per tutta la vita. Il 5 gennaio 1827 lo scenografo trova una occupazione stabile presso lo Stadttheater, il teatro più importante di Amburgo (appena riaperto dopo anni di inattività). Cocchi è impegnato nelle realizzazioni sceniche per l’Oberon di Weber, per il Flauto magico di Mozart e per il Faust di Goethe. Nel corso degli anni ’30 Cocchi intensifica i suoi viaggi: a Pietroburgo lavora come pittore al teatro più importante; a Parigi, Berlino e Londra collabora con molti colleghi, traendo ispirazioni inaspettate. L’influenza di Antonio Basoli non viene mai meno, però spesso è affiancata da moduli nordici, fusi con aspetti della cultura romantica, assorbita attraverso l’eclettismo stilistico tipico dell’artista budriese, sempre teso verso la ricerca di uno spazio identificabile con l’ambiente e di un’atmosfera sentimentale ed evocativa.
Nel 1842 scoppia un incendio nell’abitazione di Amburgo. La casa di Francesco Cocchi è distrutta dalle fiamme, che inceneriscono una grande quantità di materiale artistico. L’architetto cade in uno stato di profonda depressione: la perdita delle sue creazioni, l’impossibilità di portare a termine la pubblicazione (già avviata) di un’opera sull’architettura ogivale e il dissesto delle finanze personali appaiono ostacoli insormontabili.

IL RITORNO A BOLOGNA
Dopo alcuni mesi giunge una offerta lavorativa da Bologna. La cattedra di prospettiva dell’Accademia Pontificia di Belle Arti è rimasta vacante a causa della morte del professor Berti e la scelta del nuovo docente ricade proprio su Francesco.
Cocchi accetta e alla fine del 1842 torna a Bologna. Fino alla morte, avvenuta l’8 aprile 1865, l’artista budriese sceglie di dedicarsi esclusivamente all’insegnamento, rinunciando a qualsiasi impegno teatrale. Per circa ventitré anni lo scenografo riveste un ruolo di primo piano nell’organizzazione degli eventi culturali e sociali bolognesi. Gli sforzi di Francesco, direttore dell’Accademia nel 1859, si indirizzano verso il tentativo di dare corpo a nuovi sviluppi della struttura prospettica bibianesca, a cui resta sempre legato. Il caratteristico taglio “per angolo” – capace di guidare l’occhio dello spettatore attraverso più fuochi prospettici divisi da un elemento centrale (l’angolo), moltiplicando così le fughe, pronte ad inseguirsi all’infinito – non perde mai la propria centralità nelle riflessioni del Cocchi, che condensa il suo testamento artistico nell’opera Lezioni di prospettiva pratica e regole abbreviatrici per disegnare le scene.

Ringrazio Carla Gardenghi e Alberto Cocchi.

Leonardo Arrighi

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