Francesco Maria Coli, calzolaio di Riccardina e innovatore della Farmacologia internazionale

23 ottobre, 2015

L’esistenza di Francesco Maria Coli racconta una vicenda ricca di colpi di scena. Prima di diventare un innovatore della Farmacologia internazionale, Francesco ha affiancato il padre nella bottega da calzolaio di Riccardina. A causa di una tremenda delusione d’amore, la vita del Coli è cambiata radicalmente: per superare la sofferenza il budriese deicide di trasferirsi a Bologna, iniziando a studiare con grande impegno. Dopo molti anni contraddistinti da ricerche ed esperimenti lo scienziato otterrà riconoscimenti che lo porranno tra i grandi pionieri degli studi famacologici.

UNA DELUSIONE D’AMORE
La storia di Francesco Maria Coli è una testimonianza dell’imprevedibilità della vita, spesso frutto di percorsi tutt’altro che lineari. Nella prima metà degli anni ’60 del 1700 a Riccardina l’adolescente Francesco è impegnato nella bottega del padre Luca, apprezzato calzolaio della frazione di Budrio. Coli lavora già da alcuni anni accanto al genitore, dimostrando una notevole precisione. Nello stesso periodo il ragazzo si innamora di una giovane di Riccardina, che però non contraccambia il suo sentimento. La delusione di Francesco è così forte da gettarlo in uno stato di profonda depressione. Le giornate a Riccardina diventano insopportabili: il padre Luca e la madre Domenica Giordani decidono di allontanarlo dal luogo natale e di mandarlo al convento dei Cappuccini di Bologna.

LA SERENITÀ E LA PASSIONE PER LO STUDIO
In questo luogo Coli ritrova la serenità, cominciando a studiare con una certa regolarità. Il budriese rimane affascinato dalle letture compiute, ma dopo un paio d’anni decide di andare alla ricerca della propria indipendenza. Francesco trova un lavoro come garzone in una bottega da caffettiere. Al termine delle giornate, l’ormai ventenne di Riccardina non perde mai l’abitudine di immergersi nella lettura. Durante uno dei turni in bottega Coli incontra un gesuita del Collegio di San Luigi, che nota le qualità del ragazzo e gli propone di intraprendere un percorso di studio. Francesco accetta e, abbandonato l’impiego in caffetteria, si trasferisce al collegio, dove il gesuita comincia ad istruirlo. Le materie umanistiche, in particolare l’italiano e il latino, sono le prime ad essere affrontate, poi il maestro e l’allievo passano alle scienze e a tutte le arti liberali. Coli si mostra a proprio agio in ogni ambito culturale affrontato, anche se non nasconde una predilezione per le discipline scientifiche.

GLI ANNI PER DIVENTARE DOTTORE IN FARMACIA
Attorno al 1771 il budriese comincia un periodo di studi lungo ben nove anni, in cui approfondisce gli aspetti teorici e pratici della Chimica e della Farmacia, diventando Maestro Approvato il 27 novembre 1780.
Dopo due anni Francesco viene nominato Farmacista Capo dell’Ospedale della Vita di Bologna (oggi Ospedale Maggiore) e nel 1793 acquisisce anche l’incarico di Direttore della Farmacia dell’Ospedale della Maddalena, che dal 1807 sarà la sede delle cliniche universitarie. Coli riveste questi ruoli con grande passione, tentando sempre di offrire un supporto agli studenti: alla ricerca di qualcuno da cui apprendere. Dal 1800 Francesco inizia a pubblicare l’opera (in cinque volumi) Notizie elementari di Farmacia, di Chimica, di Storia Naturale e di Botanica (stampata da Ulisse Ramponi). Quando nel 1803 l’Università di Bologna istituisce la cattedra di Chimica e Farmacia, il primo ad essere contattato è proprio Francesco, che senza pensarci accetta l’onore di ricoprire quella prestigiosa carica. Dal 1805 il cinquantottenne – nato il 7 gennaio 1747 – di Riccardina entra a far parte della Società Medica.

LE RICERCHE DI FRANCESCO
Coli nutre con costanza la sua passione per gli esperimenti. Le applicazioni pratiche della chimica lo affascinano, portandolo a inventare nuove tecniche nell’ambito della produzione di ceramiche: la vetriatura e la composizione dei cristalli vengono ripensate da Francesco, che crea colori per la pittura – tra cui il verde della vita – e compone varie lacche. Le ricerche sulla fabbricazione della potassa, della biacca e dei nitri confermano il titolo di precursore della chimica industriale, che può essere a pieno titolo accostato al nome del Coli. Le analisi condotte sul fosforo, sulle acque minerali e su diverse materie inorganiche accompagnano il budriese per molti anni, anche se a dargli grande notorietà è la scoperta della presenza del silicio nei capelli umani. Soprattutto i francesi saranno colpiti dalla ricerca di Francesco, più volte invitato a tenere conferenze in Francia.
Nel 1807 lo scienziato elabora una Farmacopea Generale per il Regno d’Italia e decide di inviarlo a Milano al Ministero dell’Interno. Purtroppo il manoscritto andrà smarrito negli uffici ministeriali e non sarà mai preso in considerazione. L’integrità e l’attenzione per i problemi pratici contraddistinguono la personalità del Coli: membro del Magistero di Sanità (1798) e della Direzione di Polizia Medica (1806 – 1817), visitatore delle droghe medicinali in dogana e verificatore delle monete presso la Zecca di Bologna
La pubblicazione di cinque studi monografici e delle Norme e avvertenze per ben conoscere le droghe esotiche permette a Francesco di ottenere nel 1824 la cattedra universitaria di Farmacia Pratica, che si accompagna a quella di Clinica Farmaceutica, avuta l’8 giugno 1803. Sempre nel corso del 1824 il budriese acquisisce il titolo di Dottore Collegiato, ribadendo la propria instancabile vivacità intellettuale, che lo porta ad introdurre in Italia la pionieristica nomenclatura farmacologica di Guyton Morveau. Ben oltre il settantesimo anno di età il Coli – divenuto membro della Società Medico Chirurgica di Bologna e dell’Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Livorno – continua ad impegnarsi senza sosta, non dimenticando di prendersi cura della seconda moglie e dei sette figli. L’esistenza – conclusasi il 12 agosto 1828 – non ha risparmiato allo scienziato di Riccardina numerose tragedie: la morte di ben trenta figli (avuti da due mogli), alcuni deceduti durante il parto, ha rappresentato una devastante fonte di tristezza, combattuta soltanto attraverso l’amore per le consorti e l’instancabile impegno lavorativo.

Leonardo Arrighi

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