Un secolo fa moriva il budriese Don Giuseppe Codicè: fondatore dell’Opera Pia Unione delle Suore Visitandine dell’Immacolata e parroco di Vedrana per più di quarant’anni. Nel corso dell’esistenza – caratterizzata da una grave malattia e da un periodo trascorso ingiustamente in carcere – Codicè non ha mai perso di vista l’importanza della forza aggregante della fede. La comunità di Vedrana si è affidata a Giuseppe per molti decenni e proprio nella frazione del Comune di Budrio sono nate le Visitandine dell’Immacolata, che continuano a concretizzare le indicazioni ricevute dal loro fondatore. Dal 21 gennaio 1988 al 30 aprile 1995 si è svolto il processo informativo diocesano (incentrato sulla vita di Don Codicè) parte fondamentale del percorso che conduce alla beatificazione e in seguito alla possibile santità.
LA NASCITA DELLE VISITANDINE
Giuseppe Codicè regge la parrocchia di Vedrana ormai da tredici anni quando pensa alla fondazione di un ordine di suore, che potesse attuare quei principi a lui così cari: l’insegnamento della religione, il rispetto dei fondamenti morali ed etici, in particolare da parte dei giovani, ma anche il sostegno caritativo ai malati e agli anziani. L’8 dicembre 1883 sei giovani vedranesi iniziano la vita comune e in breve tempo cominciano ad essere molto attive: è nata la Pia Unione delle Suore Visitandine dell’Immacolata, riconosciuta in maniera ufficiale dall’autorità ecclesiastica.
La regola «tutto per amore e niente per forza» ispira le ragazze, sempre pronte a donarsi agli altri. Don Codicè affianca le suore, sostenendole e guidandole. Le Visitandine si impegnano anche per le comunità circostanti: a Molinella (dal 1893 al 1895), a Mezzolara (dal 1905), a Dugliolo (dal 1910 al 1911). Con il passare degli anni le attività delle suore vedranesi si ampliano e si diffondono in tutta la provincia di Bologna. Molti asili vengono aperti dalle Visitandine, a cui spesso sono affidate scuole e case di riposo.
L’opera creata da Don Giuseppe si radica anche nel capoluogo emiliano, dove le suore danno vita ad un grande convitto studentesco, intitolato a S. Giovanna d’Arco, capace di accogliere tante ragazze, provenienti da varie località, giunte in città per studiare.
Alla morte del loro fondatore, avvenuta il 21 gennaio 1915, le Visitandine sono diciotto e nel corso di qualche decennio aumenteranno in maniera consistente. In questi ultimi cento anni le suore si sono distinte per la solidità del loro spirito, che le ha portate a ricoprire ruoli decisivi nella rinascita successiva alla IIª Guerra Mondiale.
L’AFFETTO PER IL PROSSIMO
Giuseppe nasce a Budrio, più precisamente nella località chiamata Palazzina, il 3 marzo 1838 da Michele e Teresa Tassoni. Il futuro sacerdote è l’ottavo arrivato in famiglia, che alla fine sarà composta da ben dieci figli. Codicè cresce in una condizione agiata, conseguenza del prestigio famigliare radicato nel tempo. Giuseppe frequenta le scuole budriesi, dove mette in evidenza una certa predisposizione per lo studio, ma ben presto si fa largo nella quotidianità del ragazzo il desiderio di voler essere utile agli altri. Ad aiutarlo in questo percorso è Filippo M. Morelli, parroco della Chiesa di San Lorenzo, che gli consiglia di scavare a fondo dentro se stesso per comprendere se davvero sia quella la sua strada. Dopo alcuni anni densi di riflessioni, nel 1854 Codicè entra in seminario. La volontà di donarsi agli altri viene affiancata da una rigida disciplina, che gli consente di raggiungere risultati eccellenti anche come studente. Il 30 settembre 1860, grazie ad una speciale dispensa per «difetto di età» (essendo ancora troppo giovane), Giuseppe è ordinato sacerdote a Modena da monsignor Pietro Rota. La maturità del budriese è chiara a tutti e in breve diventa prefetto nel seminario diocesano di Bologna e, attraverso una formidabile costanza, dopo pochissimo tempo consegue la Laurea in Teologia.
LE DIFFICOLTÀ
Il percorso intrapreso subisce però alcune battute d’arresto. Passano alcuni mesi dalla laurea e Codicè, probabilmente a causa anche dell’enorme impegno degli anni precedenti, contrae una grave forma di tubercolosi polmonare, che gli impone di tornare a casa per curarsi. Si teme per la sua vita. Il recupero è lentissimo e a volte sembra persino non esserci. Giuseppe però si dimostra sereno al cospetto della malattia, che considera una ulteriore prova della sua fede. La guarigione diventa realtà e il giovane può tornare a dare seguito a quanto iniziato. L’impegno di Codicè si concentra nella sua terra natale, dove inizia a collaborare con vari parroci: alla Pieve, a Cento di Budrio, a Selva Malvezzi e a Vedrana. Giuseppe non ha un preciso incarico pastorale, ma il suo amore per il prossimo è talmente forte che non può essere fermato da questioni burocratiche.
Le difficoltà non sono certo finite. Gli anni ’60 del 1800 sono densi di contraddizioni, conseguenza diretta della nascita del Regno d’Italia, non ancora perfettamente legato alle realtà territoriali. Il 20 maggio 1866, un mese prima dell’inizio della IIIª Guerra d’Indipendenza Italiana, entra in vigore la Legge Crispi – nota anche come “legge dei sospetti” – che coinvolge molte persone in maniera indiscriminata. Tra le vittime ci sono tanti sacerdoti, arrestati perché sospettati di segrete cospirazioni contro il nuovo Stato. Il 26 giugno 1866 viene catturato anche Codicè che, come altri quarantacinque ecclesiastici della diocesi di Bologna, è accusato senza alcuna prova. Dopo quasi un mese di carcere, Giuseppe è inviato a domicilio coatto, fino al settembre successivo, nella parrocchia di Santa Croce di Selva Malvezzi. La tristezza per le ingiurie subite non intacca la volontà del budriese, sempre intenzionato ad intraprendere un percorso costantemente al servizio del prossimo.
LA VITA PER VEDRANA
Nel 1866, concluso il periodo agli arresti domiciliari, Codicè riceve l’incarico di coadiutore di Don Antonio Pesci, anziano arciprete di Vedrana. Nell’agosto 1870 Giuseppe diventa il parroco della Chiesa di Santa Maria Annunziata, non senza altre complicazioni: il procuratore del re nella provincia di Bologna si oppone apertamente alla nomina del budriese, che riceve però un attestato di stima eccezionale dalle famiglia vedranesi. Grazie alla forza d’animo di novanta capifamiglia della frazione di Budrio, Codicè riceve la nomina ufficiale ed inizia finalmente il suo magistero.
Le prime iniziative sono rivolte al restauro della chiesa parrocchiale, della casa canonica, del cimitero. L’impegno è costante e riceve il plauso di Monsignor Giacomo Della Chiesa (futuro Papa Benedetto XV), che osserva: «la chiesa arcipretale (di Vedrana), mercé i molti lavori compiuti per lo zelo e generosità dell’odierno arciprete, presenta un aspetto assai decoroso ed è tenuta benissimo. Gli arredi sacri sono custoditi egregiamente. L’archivio è ordinato in gran parte. Il cimitero è regolare». Le attenzioni di Don Giuseppe si rivolgono però in particolare alle persone. Codicè introduce la scuola di catechismo, della predicazione domenicale e degli incontri spirituali. Il budriese comprende l’importanza delle confraternite, a volte private del loro valore, che saranno un complemento necessario alle attività assistenziali, caritative e di accoglienza. Don Giuseppe segue con trasporto emotivo le esistenze dei suoi parrocchiani, di cui si sente direttamente responsabile. Codicè però rivolge le sue forze anche verso chi non è credente, tentando sempre di integrare le diverse visioni dell’esistenza, senza escludere nessuno. Durante la sua permanenza a Vedrana si verificano numerose vocazioni, che porteranno ben dodici ragazzi a diventare sacerdoti della diocesi di Bologna.
L’8 dicembre 1883 nascono le Visitandine dell’Immacolata che, grazie alla lungimiranza del suo fondatore, continuano ancora oggi a dispensare le loro opere di carità. L’arciprete di Vedrana prosegue nella sua missione, sempre sostenuta dalla fede e dalla volontà di essere di sostegno per gli altri. Il 21 gennaio 1915 – dopo quarantaquattro anni, cinque mesi e ventuno giorni di attività pastorale a Vedrana – Don Giuseppe muore proprio ai piedi dell’altare, intento nella recitazione individuale del confiteor. Il 25 gennaio i funerali sono ricchi di partecipazione: i vedranesi salutano la loro guida.
Leonardo Arrighi