Quando a Budrio c’era il Macello

27 gennaio, 2016

Fino al 1989 in via Verdi, accanto al Molinetto, sorgeva il macello pubblico comunale di Budrio. Da una quindicina di anni non era più attivo, ma conservava intatto il suo fascino architettonico, dovuto all’artista Faustino Trebbi, che nel 1825 lo progettò e ne supervisionò la realizzazione.
Raccontare la storia, lunga oltre 160 anni, del macello di via Verdi significa ricordare le vicende legate al vecchio macello – posto all’interno del torrione nord-ovest – alla strada che lo lambiva, al foro boario, alla pesa pubblica e all’artista Faustino Trebbi (morto proprio 180 anni fa), che tra le sue tante opere annoverava con orgoglio il progetto del macello pubblico dell’amata Budrio.

IL MACELLO VECCHIO E IL MACELLO NUOVO
La necessità di costituire un macello pubblico si impone già nel corso del 1500. L’aumento della popolazione e la volontà di darsi delle regole capaci di creare un solido spirito comunitario spingono i budriesi – impegnati, negli stessi anni, nella fondazione del Monte di Pietà e della scuola pubblica – a porsi come obiettivo la nascita di un macello.
Avere un luogo in cui poter procedere alla macellazione in maniera controllata e in accordo con le seppur scarse norme sanitare del periodo rappresenta una conquista decisiva. Attorno alla metà del 1500 nel torrione nord-ovest di Budrio è collocato il primo macello pubblico del paese. La strada (dentro al perimetro delimitato dalle mura) che unisce la Porta di Sotto al torrione nord-ovest – coincidente solo per un breve tratto con l’attuale via Giuseppe Donati – acquisisce il nome di via del Macello. Per quasi tre secoli l’ubicazione resta la stessa, ma ad inizio ‘800 le mutate esigenze dei budriesi impongono un nuovo cambiamento. L’aumento degli abitanti è un fattore importante, che viene però affiancato dall’evoluzione delle norme sanitarie.
Nel 1825 l’architetto di Budrio Faustino Trebbi realizza il progetto per il nuovo macello pubblico, che in pochi mesi diventa realtà. Nella fossa a levante (attuale via Verdi), poco lontano dal mulino, sorge un ampio edificio pronto ad ospitare la fondamentale attività della macellazione. Passano sette anni e la via del Macello diventa via del Macello Vecchio, mantenendo intatti i riferimenti topografici. Nel febbraio del 1925 una delibera del Consiglio Comunale provvede alla cancellazione della strada, che è sostituita da una nuova via posta parallelamente a circa cinque metri di distanza. La cancellazione è avvenuta, ma la nuova strada acquisisce da subito la denominazione di via del Macello Vecchio, che muterà in modo definitivo soltanto nel 1945, quando sarà intitolata all’inventore dell’ocarina Giuseppe Donati.
La storia di questa strada è arricchita da una ulteriore curiosità. A metà del 1800 la via, contemporaneamente al nome via del Macello Vecchio, acquisisce la denominazione di vicolo degli Stallatici. L’appellativo, presente soltanto nella mappa catastale pontificia, riporta la memoria dell’antica Locanda – poi Albergo dell’Angelo – presente nella strada. Durante il 1700 la locanda è il luogo d’incontro per i forestieri (spesso bolognesi), per i mercanti e per i commercianti provenienti dai paesi vicini. I mezzi di trasporto di quei tempi sono trainati dagli animali, alla ricerca di un po’ di riposo. Accanto alla Locanda dell’Angelo sono presenti dei locali adibiti a stalla: gli stallatici che attribuiscono il nome alla via.

L’IMPORTANZA DEL MACELLO
La costruzione del macello pubblico è un segno di civiltà. La carne riveste da sempre un ruolo fondamentale nell’alimentazione e la possibilità di garantirne la qualità è una conquista decisiva. All’interno del macello lavora un veterinario comunale incaricato di effettuare una visita accurata ad ogni capo di bestiame, prima della uccisione e della successiva macellazione. Gli animali giudicati sani vengono poi marchiati da un ufficiale del Comune, molto spesso una guardia civica o vigile urbano.
Le giornate al macello iniziano alle quattro di mattina, quando i proprietari delle macellerie e i vari contadini arrivano alla pesa pubblica (chiamata peso pubblico) dove il custode del macello – per molti anni l’indimenticabile signor Salmi – supervisiona le operazioni che riguardano la pesatura, annotando tutti i dati e applicando il dazio corrispondente. Il pagamento avviene immediatamente e poi gli animali (suini, ovini e bovini) vengono condotti all’interno del macello, dove sono legati a degli anelli in attesa del loro triste destino.
L’edificio ha un grande salone centrale e otto stanze (quattro per lato) in cui si procede all’uccisione, allo spellamento e alla macellazione. La carne è divisa in grandi porzioni e restituita ai proprietari, che provvederanno alle ulteriori suddivisioni. Nel macello non sono presenti celle frigorifere proprio perché la carne non sosta mai in quegli ambienti. I veterinari – tra cui si ricordano Lenzi e Badiali – esaminano la carne anche dopo la macellazione, verificandone la qualità. Sono numerosi i casi in cui vengono portati al macello degli animali malati. In queste circostanze il veterinario comunale requisisce il capo di bestiame, imponendone l’uccisione e la sepoltura con la calce viva.
Vicino al macello, nell’area oggi occupata dal deposito comunale e dai vigili del fuoco, è presente il foro boario: vero e proprio mercato degli animali, che spesso sono acquistati e portati direttamente alla macellazione. Molti luoghi di Budrio parlano di attività relative all’utilizzo della carne, risorsa importante per la sopravvivenza della popolazione. Ripercorrere le azioni quotidiane legate al macello pubblico – attivo fino all’inizio degli anni ’70 del 1900 e abbattuto nel 1989 – aiuta a riscoprire un mondo animato da gesti ormai lontani, ma non per questo meno preziosi per la nostra memoria collettiva.

L’ARCHITETTO FAUSTINO TREBBI, L’ARCHITETTO DEL MACELLO E NON SOLO
Faustino nasce a Budrio il 18 agosto 1761. Fin da giovanissimo è chiara la vocazione artistica del ragazzo che, dopo aver frequentato la Scuola di Umanità nel paese natale, si iscrive alla Scuola di Architettura di Giovanni Calegari a Bologna. Le abilità tecniche di Trebbi attirano l’attenzione di numerosi maestri bolognesi, che rintracciano nell’allievo le qualità tipiche dei veri artisti. Concluso l’apprendistato nella città emiliana, Faustino continua ad affinare il proprio stile, arrivando a dare concretezza ad un linguaggio pittorico personale e ben distante dai canoni barocchi del secolo passato. Trebbi riceve l’incarico di realizzare gli ornati (oggi scomparsi) della Cappella Maggiore della Chiesa budriese di San Lorenzo. Portata a termine l’opera, l’artista si impegna nella creazione della quadratura e dell’ornamentazione (ancora perfettamente visibili) della cappella contenente il fonte battesimale, collocato in uno spazio che si apre sul lato destro del Capitolo: la cappella più antica della Chiesa di San Lorenzo.
L’attività di Faustino prosegue a San Giovanni in Persiceto, dove realizza un affresco all’interno della Chiesa del Suffragio. Il percorso intrapreso dal pittore prosegue nella città di Neuchâtel (Svizzera), dove dipinge la villa di proprietà del Generale Mouron. Trebbi lavora per ben due anni nella residenza del militare, entusiasta delle capacità del budriese.
L’artista torna a Bologna. Molti signori della provincia si contendono il talento di Faustino, capace di realizzare affreschi all’interno di molteplici lussuose abitazioni. A Bagnarola, insieme ad altri colleghi, porta a termine delle pitture ancora presenti nel palazzo del Conte Prospero Ranuzzi Cospi (oggi Accademia dei Notturni). Nella Chiesa di San Francesco (distrutta durante i bombardamenti del 1945) a Riccardina, Trebbi è autore di uno splendido ornato a chiaroscuro. All’inizio del 1800 nel teatro di Budrio si alternano molte compagnie di giovani, che si divertono recitando e allestendo spettacoli sempre diversi. Questi “dilettanti”, come amano definirsi, danno vita a rappresentazioni davvero interessanti, spesso accompagnate da scenari molto elaborati. Uno degli autori di scenografie più prolifici è proprio Faustino, affascinato dalla possibilità di misurarsi con nuove tecniche espressive.
Nel 1825 a Budrio si provvede alla dismissione dell’antico macello, che viene sostituito da una nuova struttura progettata da Trebbi nello stesso anno. Attorno al 1827 il pittore realizza la terza tela con i “ritratti” (di fantasia) a tempera dei budriesi illustri. Le altre due tele – presenti, come la terza, nella sala nᵒ 1 della Pinacoteca Civica di Budrio – sono attribuite tradizionalmente a Faustino, ma in realtà sono state dipinte prima della sua nascita. La volontà di dipingere i medaglioni dedicati ai budriesi, sintetizza l’affetto del pittore per il paese natale, sempre al centro dei suoi pensieri. Alcune generazioni di giovani di Budrio devono molto a Trebbi che, attraverso lezioni private (spesso date in maniera gratuita) e grazie ad un instancabile dialogo con le famiglie, ha dato la possibilità a dei ragazzi di inseguire i loro sogni artistici: tra questi non si possono dimenticare Francesco Cocchi e Antonio Sarti, riconoscenti al loro primo ed insostituibile maestro, morto a Budrio il 25 dicembre del 1836.

Leonardo Arrighi

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