Ritorno al Carnevale di Budrio: la storia, le feste e le maschere

9 febbraio, 2016

Il 20 febbraio 2016 il Carnevale tornerà protagonista nelle strade di Budrio e quindi, per iniziare a respirare l’atmosfera di festa, perché non fare un tuffo nel passato e ripercorrere la storia del Carnevale budriese.
Nel corso dei secoli le celebrazioni sono cambiate e anche lo spirito che le ha animate si è sempre legato ai vari periodi. All’inizio del 1900 l’artista Augusto Majani ha dato forma alla propria creatività, dando vita a carri – spesso trainati dai cavalli di Metusco – meravigliosi. Nei decenni successivi i budriesi hanno acquisito molta esperienza, avvalendosi della collaborazione di artigiani di Viareggio. A Budrio sono nate anche due maschere: la prima molto antica e la seconda è pronta per compiere settantasei anni.
La magia del Carnevale – titolo della mostra (2012) realizzata da Maurizio Montanari e Fernando Pazzaglia, autentici esperti delle vicende legate al Carnevale budriese – è stata un elemento importante, che ha contraddistinto molti episodi e speriamo torni a propiziare momenti di condivisione e divertimento.

L’AMORE PER IL CARNEVALE
Il carnevale a Budrio ha rappresentato, nel corso dei secoli, l’occasione per condividere momenti spensierati, giocosi e privi della formalità quotidiana. Per i budriesi il carnevale è sempre rimasto una festa del paese – da celebrare accanto agli amici – e non ha mai assunto i connotati del grande evento con finalità turistiche. La dimensione popolare della festa in maschera budriese ha quindi mantenuto intatti gli aspetti ludici tanto amati dai bambini e dagli adulti.
A partire dalla seconda metà del 1800 a Budrio sono presenti diverse Società Carnevalesche, composte da numerosi soci disposti a farsi carico delle spese e della costruzione dei carri mascherati, allestiti spesso con una cura quasi maniacale e pronti a fare bella mostra di sé nelle sfilate per le strade budriesi.
All’inizio del 1900 alcuni carri sono frutto dell’immaginazione dell’artista Augusto Majani (Nasìca), che riesce così a far coincidere il suo amore per Budrio con quello per il carnevale: splendida occasione per dare sfogo alla fantasia. Nei primi decenni del ‘900, oltre ai budriesi, giungono molte persone anche dai paesi limitrofi. Le strade vengono letteralmente invase da bambini e adulti pronti a lasciarsi avvolgere dall’allegria, dimenticando per un po’ di tempo le difficoltà della vita di tutti i giorni.
In alcune occasioni i carri non appaiono certo sfavillanti, ma sono comunque il risultato dell’impegno di uomini e donne, pronti a donare agli altri alcuni istanti di gioia. I costruttori sono i primi a salire sulle loro creazioni insieme ad amici e parenti per dare vita alla festa, lanciando coriandoli, stelle filanti e vari tipi di dolci alla folla sottostante. A trainare i carri si possono vedere dei buoi e molto spesso i cavalli di Metusco, che in diverse occasioni decide di montare in sella ai suoi cavalli – a volte bardati con drappi rossi e gialli (i colori budriesi) – in prima persona.

I CARRI E I VEGLIONI
Nel corso degli anni ’20 il Carnevale a Budrio inizia a vivere un ottimo momento. Come documentano anche le fotografie riportate in questo articolo, le persone presenti sono molto numerose e anche i carri risentono di varie influenze creative. Durante gli anni ’30 il Carnevale è caratterizzato dall’iconografia fascista, anche se proprio in quel periodo si può ricordare: un carro, allestito dal Resto del Carlino, da cui vengono lanciate “cannette per scrivere” in alluminio; un altro dedicato all’Italia – identificata con una bella ragazza cinta sul capo da una corona turrita – e uno riservato a Pinocchio, realizzato attraverso l’impegno degli scolari.
La tradizione carnevalesca riacquista slancio nel Secondo Dopoguerra. La necessità di cercare qualche forma di svago rappresenta una esigenza per donne e uomini, che hanno dovuto fare i conti con le atrocità belliche. I budriesi sono affiancati da artigiani di Viareggio, felici di aiutare con la loro grande esperienza gli abitanti di Budrio. L’utilizzo di maschere di cartapesta, la capacità di creare meccanismi – che consentono la mobilità dei soggetti – e l’attenzione alle questioni di attualità (legate alla politica e allo sport) permettono al Carnevale budriese di assumere una dimensione ed un aspetto distanti da quanto visto in precedenza. La costruzione dei carri avviene in sperduti casolari di campagna per mantenere nascosta fino all’ultimo istante l’idea scelta per l’allestimento. La rivalità, seppur bonaria, si accende: l’obbiettivo è ben chiaro e coincide con il premio assegnato dalla giuria, composta dalle persone più influenti del paese. Vincere il primo premio rappresenta una grande soddisfazione per le donne e gli uomini che, impegnandosi per intere serate e in tutti i momenti liberi, hanno deciso di creare la scenografia di uno dei carri.
Il programma del carnevale budriese è arricchito dai veglioni organizzati nel Teatro Consorziale. Il primo, chiamato Veglione dei Fiori, è l’occasione per vestirsi in modo elegante e per immergersi in un teatro addobbato – nei palchi e nel proscenio – con fiori bianchi. Il martedì grasso, per concludere i festeggiamenti, si svolge il Veglione delle Maschere: popolare e divertente. Entrambi gli appuntamenti sono rallegrati dalla musica: orchestre e noti cantanti – tra cui non si possono dimenticare Fred Buscaglione, Perez Prado, Nilla Pizzi, Carla Boni e Gina Latilla – animano le serate dei budriese, pronti a godersi ogni minuto.


LE MASCHERE BUDRIESI
La storia di Budrio è contraddistinta anche dalla nascita di due maschere, cioè personaggi emblematici e caricaturali nati dalla creatività, dall’umorismo e dalla satira popolari. La prima è quella del Dottor Campanazzo da Budrio, che incarna una delle più antiche raffigurazioni del tipico Dottore Bolognese, ideato dalla Commedia dell’Arte, a volte esperto di legge e in altri casi di medicina. L’eloquenza ostentata e noiosa, utilizzata per circuire le persone in difficoltà è il tratto caratteriale di un personaggio spesso aggredito, anche fisicamente, dalle sue vittime. Nella prima metà del 1500 il Dottor Campanazzo è rappresentato nelle piazze. Attraverso un lungo susseguirsi di interpretazioni da parte di molti comici, la maschera budriese trova spazio nelle corti principesche, davanti ad un pubblico culturalmente preparato. La maschera del Dottore assume vari nomi, tra cui quello di Campanazzo da Budrio è (insieme a Graziano) il più antico. Dall’evoluzione degli appellativi di questo personaggio scaturirà poi il famoso Dottor Balanzone.
Nel corso del 1600 il budriese Francesco Rivani si distingue come grande interprete del Dottor Campanazzo. Rivani allieta la Corte Imperiale di Vienna, si reca a Torino e in molte altre località europee ed italiane. Il budriese (morto nel 1620) è autore di commedie e attore capace di acquisire una fama notevole. Rivani attribuisce al Dottore una fisionomia più completa, che lo caratterizzerà anche nei secoli successivi.
L’altra maschera nata a Budrio è molto più recente. Per un veglione del Carnevale del 1950, il medico budriese Ferruccio Cantelli offre una dimostrazione delle sue doti di poeta (in particolare dialettale), componendo una narcisata per una breve rappresentazione, in cui compare per la prima volta una nuova maschera: il Dottore dell’Ocarina (al Dutòur dl’Ucarina). Accanto a Narciso e al Dottor Balanzone entra in scena proprio il Dottore dell’Ocarina, che dà un annuncio davvero importante: l’ocarina vuole a tutti i costi imitare la chitarra e ha deciso, come quest’ultima, di diventare elettrica.

Leonardo Arrighi

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