L’occhio esigente dell’architetto budriese Giuseppe Tubertini

17 maggio, 2016

Al nome del budriese Giuseppe Tubertini sono legate le Chiese di San Lorenzo e di Sant’Agata. I due luoghi sacri sono contraddistinti dalla sensibilità dell’architetto, capace di fondere – in maniera sobria ed equilibrata – le ultime influenze barocche con il dominante (nella seconda metà del ‘700) gusto neoclassico. Entrare in San Lorenzo e in Sant’Agata equivale a porsi in stretta relazione con l’opera artistica di Tubertini, impegnato professionalmente in numerose località ma sempre innamorato di Budrio. All’artista sono assegnate moltissime opere, tra cui non si possono dimenticare la cupola della Chiesa di Santa Maria della Vita, lo Sferisterio, numerosi interni di edifici sacri bolognesi, il Teatro Comunale di San Giovanni in Persiceto e i molteplici interventi al Cimitero della Certosa.

SAN LORENZO E SANT’AGATA
Nel 1783, all’età di ventiquattro anni, Giuseppe riceve l’incarico di donare una nuova veste architettonica alla Chiesa di Sant’Agata. La compagnia omonima affida al giovane il suo primo vero lavoro, riponendo grande fiducia nelle qualità espresse all’interno dell’Accademia Clementina di Bologna e nell’affetto per la terra natale, punto di riferimento costante per l’artista. Tubertini interviene, a più riprese, sulla struttura di Sant’Agata, rialzando le quattro cappelle laterali, sostituendo il tetto a capriate con una volta a botte e riducendo la smisurata lunghezza della chiesa attraverso la costruzione di un nuovo coro. La personale creatività del budriese emerge in modo evidente grazie alla risoluzione del problema dell’eccessiva lunghezza dell’edificio sacro: Giuseppe sceglie di dividere la struttura con una serie (semicircolare) di colonne, che permettono di osservare dalla navata la storica cappella maggiore, trasformata – utilizzando una soluzione davvero innovativa – in coro. La dimensione troppo allungata della chiesa acquisisce una proporzione equilibrata, mantenendo intatto il punto di vista sulla pala d’altare posta sullo sfondo. Gli interventi in stucco progettati da Giuseppe vengono eseguiti da Lepori e Leonardi, artisti bolognesi e fondamentali collaboratori dell’architetto, che conclude i propri interventi in Sant’Agata nel 1792, quando è posta una lapide (ancora in ottimo stato) che ricorda la fine dei lavori.
Trascorrono appena due anni e Tubertini riceve l’incarico di riprogettare la cappella maggiore della Chiesa di San Lorenzo. Come al solito, il budriese si impegna a fondo e, mentre sono già iniziate le prime attività in San Lorenzo, comprende che l’edificio sacro ha bisogno di trovare una forma più armonica, in grado di far interagire con sobrietà la navata con la cappella maggiore e la struttura absidale. Questi interventi appaiono molto costosi ed in un primo tempo sembrano irrealizzabili. L’impegno di gran parte della cittadinanza e una provvidenziale vincita al lotto (di cui ha già parlato in un articolo su Budrio Next) permettono la realizzazione del progetto di Giuseppe. Nel 1797 i lavori sono completati: la cappella maggiore – interamente decorata – dona un notevole slancio verticale alla chiesa, la costruzione del transetto permette un importante sviluppo laterale, che si pone in un rapporto equilibrato con la navata centrale, in parte ricostruita a scapito dei precedenti interventi di Alfonso Torreggiani. La collocazione del dipinto Il martirio di San Lorenzo di Gaetano Gandolfi, la realizzazione dei preziosi ornati in stucco di Antonio Lepori e Giuseppe Leonardi e la creazione delle sculture eseguite da Giacomo De Maria permettono al progetto di Tubertini di raggiungere il risultato sperato: quello di fondere il gusto barocco con la vitalità artistica neoclassica.

LA PASSIONE PER L’ARCHITETTURA
Giuseppe nasce a Budrio nel 1759 da Angelo e Rosa Soverini. Il futuro architetto cresce in una delle famiglie storiche budriesi: i suoi predecessori compaiono sin dal ‘400 negli elenchi dei membri dei Consigli della Comunità e della Partecipanza. Nessuno tra i Tubertini ha mai intrapreso un percorso artistico e quindi, nonostante le ottime condizioni economiche, il giovane impiega parecchio tempo per convincere i genitori dell’autenticità della sua passione. Conclusi gli studi nel paese natale, Giuseppe si iscrive al Collegio gesuitico San Luigi, dove approfondisce in particolare le materie umanistiche, e poi all’Accademia Clementina, al cui interno può finalmente può dare libero sfogo alla sua inclinazione. Tubertini si avvicina presto all’architettura e sotto la guida del professor Giuseppe Jarmorini approfondisce numerosissimi aspetti tecnici. Nel 1779 e nel 1780 l’allievo budriese vince per due volte consecutive il prestigioso Premio Marsili Aldrovandi per l’Architettura, dimostrando delle qualità sorprendenti ed una sensibilità molto personale. Appena concluso il percorso all’interno dell’Accademia Clementina, Giuseppe riceve l’incarico di riprogettare la Chiesa di Sant’Agata (1782). Le capacità tecniche si abbinano ad una visione d’insieme e ad un senso compositivo ricchi di maturità e consapevolezza. Tra il 1785 e il 1787 l’architetto esegue la costruzione della Cupola della Chiesa di Santa Maria della Vita (Bologna), portando così a termine il Santuario. Tubertini si basa sul disegno originario di Antonio Bibiena, ma decide di cambiarlo e rivisitarlo attraverso la propria cognizione artistica: in particolare l’attacco della base della cupola alle colonne interne che la sorreggono mette in evidenza l’intelligenza del giovane architetto, coraggioso e determinato. L’interno della cupola è caratterizzato dalla presenza delle Sibille di Luigi Acquisti, la copertura esterna – ricoperta di rame – diventa ben presto uno dei punti di riferimento per i bolognesi e per tutti i turisti, ancora oggi incantati dalla bellezza della cupola realizzata da Giuseppe.

L’IMPEGNO COSTANTE
La carriera del budriese prende corpo e si arricchisce di numerosi incarichi. La duttilità è un pregio fondamentale per adattarsi ad ogni commissione. Nel 1788 realizza l’Oratorio di Santa Maria dei Guarini (Bologna) e nel 1790 diventa Presidente dell’Accademia Clementina. Gli incarichi non si fanno attendere: Tubertini è (sempre dal 1790) Direttore di Architettura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, che presiederà nel 1800, e viene nominato Architetto Capo del Comune di Bologna e Pubblico Ingegnere. Nel corso degli anni ’90 del 1700 continua a dare seguito alla sua attività, intervenendo in molti cantieri in cui è impegnato nella riprogettazione di edifici di culto, tra cui: l’Oratorio di San Giovanni Battista dei Fiorentini e l’Oratorio di San Giobbe. La fusione tra le influenze barocche e una innovativa visione neoclassica rendono unico lo stile dell’architetto, che nel 1794 torna a Budrio per occuparsi della Chiesa di San Lorenzo. Sempre nel corso degli anni ’90 Giuseppe rivisita la Cappella nel Palazzo dei Notai (Piazzo Maggiore a Bologna). Nel 1805, in collaborazione con Martinetti e Bassani, costruisce un poderoso arco di trionfo (provvisorio) da collocare in via San Felice in occasione dell’imminente arrivo di Napoleone a Bologna.
Tubertini si impegna anche nella realizzazione di una macelleria, divenuta poi pescheria, vicino all’attuale via Rizzoli (Bologna), ribadendo la capacità di adattare la propria passione ai vari incarichi. Nel 1820 Giuseppe è chiamato per sovrintendere all’adeguamento e alla riorganizzazione strutturale del Teatro Comunale di Bologna. Il palcoscenico e i palchi subiscono delle importanti trasformazioni, provocando anche alcune critiche, provenienti soprattutto dall’artista Antonio Basoli, che troverà delle difficoltà supplementari nell’allestimento delle sue scenografie, complicate da adattare alla maggior parte dei palcoscenici. Il budriese – artefice del Teatro Comunale di San Giovanni in Persiceto – resta fermo sulle sue posizioni, evitando qualsiasi tipo di polemica.
Nel 1822 si concludono i lavori allo Sferisterio di Bologna, posto a ridosso della Montagnola. In cinque anni, a partire dal 1817, viene completata una struttura lunga 97,10 m, larga 17,48 m e con un muro di appoggio di 21,60 m (in altezza). L’edificio ospiterà per quasi un secolo le partite del gioco del pallone, un predecessore degli sport moderni. L’attività dell’architetto non si ferma: ancora nel 1822 progetta il monumento funebre della famiglia Cella, collocato nel Chiostro I° del cimitero di Bologna. Gli interventi alla Certosa si moltiplicheranno: il completamento del Chiostro V°, che sarà rivoluzionato rispetto al progetto di un predecessore, optando per una parte terminale scandita da una serie ritmata di nicchie incassate nel muro ed alternate da colonne doriche. Questo portico si lega – grazie all’intuizione di Tubertini – senza soluzione di continuità all’Arco del Meloncello e da qui sia al centro della città che al Santuario di San Luca. La sistemazione definitiva del portico è eseguita dal budriese insieme al giovane Luigi Marchesini, che decidono di costruire due archi neoclassici agli estremi del porticato.
Giuseppe riadatta le Celle Iª e IIª del recinto dei Cappuccini alla Certosa e – sempre nello stesso luogo – realizza (1828) il Pantheon o Sala degli Uomini Illustri, un ambiente a pianta ellittica con una copertura piana retta da quattro coppie di colonne corinzie.
Ormai più che settantenne Tubertini vive insieme alla moglie Clementina Nobili nell’abitazione di via Santo Stefano n.78 e continua a svolgere la sua professione. Fino al giorno prima della morte – avvenuta in maniera improvvisa il 5 febbraio 1831 – il budriese è impegnato nei lavori di allungamento della Chiesa della Santissima Trinità, in cui l’architetto verrà sepolto.

Leonardo Arrighi

Facebooktwittergoogle_plusmail

Commenta via Facebook


Lascia un commento


Il tuo commento sarà pubblicato al più presto una volta sottoposto a moderazione. I campi contrassegnati con * sono obbligatori.