Il valore storico delle opere realizzate dal budriese Alfonso Torreggiani e dalla sua famiglia

25 maggio, 2016

I componenti della famiglia Torreggiani ed in particolare Alfonso, architetto di grande importanza per la storia dell’arte italiana, hanno dedicato la loro vita all’arte, lasciando a Budrio numerose tracce del loro passaggio. Il campanile di Sant’Agata realizzato da Vincenzo, buona parte dell’interno e l’intero portico della Chiesa di San Lorenzo, la Villa Malvezzi chiamata “Il Floriano” a Bagnarola sono opere di Alfonso, che come collaboratori strettissimi ha avuto il figlio Giuseppe ed il cugino Giambattista. Tra le opere dell’architetto – autore di chiese, palazzi, scalinate monumentali e varie strutture in moltissime città italiane – merita un discorso a parte la pianta di Budrio disegnata nel 1720: quest’autentica mappa del centro storico ha avuto e continua ad avere un valore storico fondamentale, perché descrive con precisione scientifica la fisionomia budriese nei primi decenni del ‘700. Accanto al valore documentale, la pianta rende eterno l’affetto di Alfonso per la propria comunità.

UNA FAMIGLIA DI ARTISTI
A differenza di numerose storie di artisti budriesi che, come raccontato spesso su Budrio Next, hanno dovuto fare i conti con l’ostilità della famiglia oppure con la difficoltà di trasmettere ai parenti più stretti la propria passione, Alfonso Torreggiani trova negli affetti delle fonti di ispirazione e dei sostenitori determinanti. La famiglia Torreggiani rappresenta un esempio davvero raro nel panorama storico budriese. Vincenzo, zio di Alfonso, è capomastro, architetto ed autore – tra il 1664 e il 1668 – del campanile della Chiesa di Sant’Agata ed offre al nipote un esempio, guidandolo nei suoi primi anni di attività. Alfonso, nato nel 1682, nutre la sua passione sin da giovanissimo e nel corso della carriera diventa un punto di riferimento per il cugino Giambattista, con cui collabora in molte occasioni ed in particolare nella costruzione, tra il 1734 e il 1736, del portico della Chiesa di San Lorenzo. Il rapporto più stretto si crea tra Alfonso e il figlio Giuseppe, che segue le orme paterne, scegliendo di rimanere sempre accanto al genitore: tanti progetti vengono firmati dai due Torreggiani, perfettamente affiatati. Accade spesso che il padre affidi al figlio la supervisione dei cantieri, congratulandosi a più riprese con Giuseppe, capace di esaltare la propria creatività nella realizzazione di interni fastosi e di scale monumentali come quelli del Liceo Musicale (oggi Conservatorio G.B. Martini) e del Palazzo Malvezzi Medici in via Zamboni (Bologna).
L’elenco degli artisti della famiglia Torreggiani non è ancora completo: mancano Francesco (architetto), cugino di Alfonso, e il figlio Vincenzo, nato l’11 agosto 1704. Quest’ultimo, dopo aver studiato disegno e pittura a Bologna, intraprende una carriera ricca di incarichi, che lo porteranno a lavorare a Firenze, a Roma e naturalmente a Bologna, dove ancora oggi si può osservare un suo affresco, presente nel Chiostro di Mezzo (o Chiostro Rizzoli), un tempo all’interno del Monastero di San Michele in Bosco, ora sede dell’Istituto Ortopedico Rizzoli.

ALFONSO E I TORREGGIANI A BUDRIO
L’impegno dei Torreggiani per il loro paese natale inizia con la costruzione – avvenuta tra il 1664 e il 1668 – del campanile della Chiesa di Sant’Agata da parte di Vincenzo. Il punto di riferimento artistico della famiglia è Alfonso, che attraverso le sue opere inciderà su Budrio. Nel corso degli anni ’10 del XVIII secolo, l’architetto riceve l’incarico di riprogettare l’interno della Chiesa di San Lorenzo, che acquisisce un aspetto imponente e caratterizzato da una accentuata verticalità, arricchita da una serie di decorazioni barocche, contraddistinte da sobrietà e cura del dettaglio.
Nel 1720 l’artista disegna la pianta del centro storico di Budrio, che è riprodotto con una precisione straordinaria. Attraverso questo documento sarà possibile nei secoli successivi (e ancora oggi) ricostruire pagine fondamentali della storia budriese. Tra il 1734 e il 1736, in collaborazione con il cugino Giambattista, Torreggiani esegue la ricostruzione del portico (fatiscente) di San Lorenzo. L’architetto progetta una struttura più ampia rispetto alla precedente, scegliendo di privilegiare la regolarità. Il nuovo portico è apprezzato dagli abitanti, che trovano un luogo in cui condividere dei momenti di vita quotidiana, al riparo dalle intemperie.
Nel 1737 Floriano e Matteo Malvezzi affidano ad Alfonso la costruzione di una villa (oggi nota con il nome di “Floriano”) a Bagnarola. L’edificio è in parte già realizzato, però i marchesi desiderano donare alla struttura una fisionomia ben diversa. L’architetto accoglie con piacere l’incarico, comprendendo immediatamente la necessità di assegnare al complesso una dimensione unitaria. La facciata settentrionale, lunga quasi duecento metri, presenta una forma a ferro di cavallo, quella meridionale – rivolta verso il parco – di impronta barocca verrà riprogettata, nel 1818, da Angelo Venturoli che, a differenza del Torreggiani, donerà un’estetica di derivazione neoclassica. Il budriese lavora, insieme al figlio Giuseppe, per lungo tempo agli interni del “Floriano”, che seppur privi di affreschi, presentano una vasta collezione di quadri. Fra gli spazi più importanti non si possono dimenticare il salone e la piccola cappella privata, frutto della sensibilità dell’artista.

L’ARCHITETTURA COME PRIORITÀ
Alfonso nasce a Budrio il 17 novembre 1682. Fin da bambino coltiva la passione per l’arte, argomento quotidiano di cui poter parlare in famiglia. Torreggiani frequenta le scuole budriesi e poi il Collegio San Luigi di Bologna. Nella grande città il ragazzo inizia a seguire numerosi corsi di architettura, instaurando in breve tempo un rapporto stretto con il maestro Giuseppe Antonio Torri. L’allievo si impegna con infinita passione, scegliendo alcuni modelli che ne plasmeranno il percorso, tra questi: Dotti, Magenta, Provaglia, Morandi (soprannominato il Terribilia) e Tibaldi.
Il giovane artista riesce a sviluppare una sensibilità personale, improntata alla ricerca di un senso ritmico delle masse, dello spazio e della plasticità delle decorazioni. Lo stile di Alfonso non tende ad evadere le regole, accettando spesso i caratteri della solidità e del movimento, della robustezza articolata e orizzontale delle superfici piane e dell’equivalenza delle proporzioni, che acquisiscono uno sviluppo monumentale nelle navate delle chiese. Torreggiani crea effetti scenografici, che propiziano la nascita di visuali ricche di profondità. Lo slancio plastico, riscontrabile nelle cupole, è un elemento fondamentale per l’architetto, che con una certa frequenza preferisce le forme ellittiche a quelle perfettamente circolari.
Nel 1704 giunge il primo incarico, la realizzazione del monastero di San Giovanni in Monte (Bologna): i chiostri ampi, con volte a crociera, la sapiente distribuzione delle stanze e delle celle dimostrano le qualità del budriese, che concluso questo lavoro decide di intraprendere un viaggio di perfezionamento in Toscana e nel Lazio, dove trova nuove fonti di ispirazione, capaci di arricchire l’esperienza del ventiduenne.
Nel 1709 a Bologna viene fondata l’Accademia Clementina (che due anni più tardi riceverà il riconoscimento ufficiale) e Alfonso si mette subito in luce. Nel 1710 l’artista porta a termine la facciata della Villa Torrigiani-Santini di Camigliano (Lucca), in cui appaiono evidenti le influenze barocche e rococò. Nel decennio successivo l’architetto è attivo nella Chiesa di San Lorenzo di Budrio e contemporaneamente propone dei progetti innovativi per intervenire nelle Chiese bolognesi di San Francesco e San Domenico. Le idee del budriese non vengono comprese e quindi rifiutate: Torreggiani fatica a nascondere il disappunto, ma non rinuncia alla propria passione.

UN UOMO INFATICABILE
La carriera di Alfonso prosegue senza sosta: nel 1723 progetta l’Oratorio di Santa Maria a Cento, nel 1725 riprogetta il Collegio San Luigi (oggi occupato in gran parte dal Liceo Galvani) di Bologna e nello stesso anno porta a termine la scala del Palazzo Malvezzi Medici (via Zamboni), che avvia una serie di commissioni riservate alla creazione di scalinate monumentali. Nel 1726 l’architetto si occupa della Chiesa di Sant’Ignazio, oggi inglobata all’interno dell’Accademia di Belle Arti di Bologna. Sant’Ignazio propone una concezione unitaria, caratterizzata da un forte rilievo delle membrature e da una cupola posta su un tamburo ottagonale, che a sua volta si pone al centro di una struttura a croce greca.
La collaborazione ad un cantiere in Santo Stefano e alla costruzione dell’Oratorio di San Filippo Neri permette all’artista di instaurare dei rapporti con i decoratori che lo affiancheranno nei decenni. La costruzione della Chiesa di San Rocco a Parma mette in evidenza la costante ricerca della verticalità, che è riconfermata dai progetti per la Chiesa di San Giorgio a Reggio Emilia e per l’interno della Chiesa della Maddalena in via Mascarella (Bologna).
Torreggiani conferma costantemente la propria qualità e riceve incarichi da varie istituzioni e privati, che lo portano a lavorare a Fano e a Modena. Il baricentro dell’attività resta sempre Bologna, dove nel 1743 ottiene la carica di Principe dell’Accademia Clementina e poche settimane dopo inizia la costruzione della Cappella Aldrovandi all’interno della Basilica di San Petronio. Nello stesso anno Alfonso comincia la riprogettazione della Cattedrale di San Pietro (via Indipendenza): la parte interna esalta il senso pratico del budriese, che riesce a risolvere un problema ormai secolare, anche se la facciata offre uno degli esempi più alti della visione artistica dell’architetto. La mancanza di una piazza antistante non consente una fruizione ideale però, nonostante questo impedimento, è possibile (ancora oggi) lasciarsi affascinare dalla facciata di San Pietro: maestosa, fatta di mattoni e di pietra d’Istria, arricchita da due ordini di paraste. La porta maggiore imita, nella forma e nella decorazione, quella interna, ed il finestrone soprastante conduce al frontespizio spezzato, su cui si posa un “frammento ribelle”, che ricorre spesso nelle opere di Torreggiani. Quattro nicchie in basso e due in alto accolgono statue di santi, le volute di raccordo assegnano un ritmo dolce attraverso le proprie spire prive di figure ed il fastigio ondulato acquisisce una angolarità perfetta tra la croce e i due primi vasi di pietra.

LE OPERE SI SUSSEGUONO
Alfonso continua ad essere molto esigente con sé stesso, accettando incarichi sempre complicati e stimolanti. Fra il 1744 e il 1752 realizza la facciata del Palazzo Aldrovandi (oggi Montanari) a Bologna: le influenze del Bernini, del Borromini e del Rinaldi si manifestano, integrandosi con la sensibilità personale dell’artista, interprete del barocchetto bolognese. Nel corso degli anni ’40 continua a spostarsi con grande frequenza: Reggio Emilia, Cento e Medicina, dove realizza – tra il 1748 e il 1749 – la Chiesa del Crocifisso o dell’Assunta, sono i luoghi in cui sosta più a lungo.
Il rapporto con il figlio Giuseppe, architetto e collaboratore del padre, si consolida progressivamente, giungendo a dare vita ad un sodalizio artistico ricco di ispirazione. Giuseppe firma alcuni progetti insieme al padre e spesso segue e supervisiona la realizzazione delle opere, consentendo così ad Alfonso di dedicare tempo a nuove attività. Il Palazzo Rusconi (1753) a Bologna e lo Studio Pubblico del Palazzo degli Studi di Mantova rappresentano la sintesi dello scambio culturale tra i Torreggiani, sempre alla ricerca di nuove idee e fonti di ispirazione.
Il 19 aprile 1764, all’età di ottantuno anni, si conclude l’esistenza dell’architetto, a cui vengono riservate delle solenni onoranze funebri: in questa occasione i colleghi, gli storici e i committenti intervengono in prima persona, raccontando la storia di Alfonso e descrivendolo come uno dei grandi interpreti della scena artistica del suo tempo.

Leonardo Arrighi

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