Sabato 28 maggio alle ore 18 alle Torri dell’Acqua di Budrio, Simona Vinci presenterà il suo romanzo La prima verità (Einaudi). La lettura di alcune pagine del libro sarà a cura di Korekané – con Chiara Cicognani, Alberto Guiducci e l’autrice – ed accompagnata dalle musiche di Valentino Corvino. Il pomeriggio – organizzato da Le Torri dell’Acqua in collaborazione con La fondazione Giorgio Cocchi e Dialoghi tra musica, immagini e parole – si concluderà con una conversazione tra Simona Vinci e Liliana Stracuzzi.
QUALE CONFINE?
Analizzare il confine che separa la normalità dalla follia significa diventare quel confine, comprendendo – sulla propria pelle – che probabilmente quella delimitazione non esiste, oppure è talmente lontana da un tracciato coerente da risultare indistinguibile. Nel romanzo La prima verità, Simona Vinci si pone sullo scomodo crinale tra ciò che è accettato e ciò che invece viene respinto, riuscendo a condurre un’indagine approfondita della diversità. Le storie di donne e uomini rifiutati, dimenticati ed etichettati come malati di mente animano il libro, donando al passato una vitalità commovente – a volte straziante – ma decisiva nel rendere davvero dinamiche queste esistenze perché, come scrive la Vinci, «Il passato non si seppellisce e non si decompone, ma continua a vivere, con la sue eco a volte dolorosa e distruttiva dentro quelli che vengono dopo».
La narrazione è ambientata in gran parte a Leros, un’isola greca del Dodecaneso caratterizzata dalla presenza di un enorme istituto psichiatrico. Leros ha una storia sorprendete: dalla metà degli anni ’10 agli anni ’40 del ‘900 l’isola appartiene all’Italia, che la trasforma in una immensa base militare. Durante la IIª Guerra Mondiale, Leros è teatro di una cruenta battaglia e soltanto dopo il conflitto diventerà parte del territorio greco. Nel 1958, all’interno delle strutture costruite a scopo militare, viene fondata una colonia per psicopatici, che nel 1965 acquisisce il nome di istituto psichiatrico, non mutando però la propria vocazione carceraria. Il manicomio di Leros nasce con lo scopo di accogliere i pazienti affetti da malattie mentali ritenute incurabili. Da tutta la Grecia giungono sull’isola molte persone (4000 tra il 1958 e il 1981), rapidamente inghiottite da un abisso fatto di soprusi e di trattamenti ignobili. La perdita d’identità distrugge le esistenze dei ricoverati, estromessi dalla memoria collettiva e privati della sensazione – a volte illusoria, ma comunque confortante – di appartenere ad una comunità.
Dal 1967 al 1974 – periodo che coincide con la Dittatura dei Colonnelli – sull’isola giungono oltre 4000 dissidenti e nemici politici del regime. Questi nuovi “ospiti” trovano spazio in un’ala degli edifici costruiti dagli italiani alcuni decenni prima. Pazienti psichiatrici e prigionieri politici tentano di sopravvivere separati soltanto da una rete di filo spinato. Un’inchiesta del giornalista John Merritt, pubblicata sul periodico inglese The Observer il 10 settembre 1989, toglie il velo di incoscienza e di ipocrisia alla condizione dell’istituto di Leros, aprendo un vero e proprio caso internazionale.
Questo è il contesto con cui Angela, la ricercatrice italiana che – all’interno del libro – guida il lettore alla scoperta delle vicende dei pazienti rinchiusi sull’isola, si trova a dover fare i conti. Attraverso la sensibilità di Angela riprendono vita le storie di Stefanos (personaggio ispirato al grande poeta greco Ghiannis Ritsos, detenuto a Leros come oppositore politico), Nikolaos, Teresa, Basil, Lina ed altri esseri umani, ancora tali nonostante le immani sofferenze patite.
I racconti presenti nel romanzo non sono realmente accaduti, traggono però ispirazione da storie reali. Le capacità letterarie di Simona Vinci rendono queste vicende uniche, esemplari, universali e soprattutto capaci di integrarsi reciprocamente, proponendo l’unica verità contemplabile: quella nata da tante verità accostate, mescolate e, in certi casi, in equilibrata antitesi. Nel libro c’è spazio anche per un drastico cambio di prospettiva, che lascia la scena ad un Io narrante: alcune sequenze della vita dell’autrice si fondono con altri volti. Il rapporto tra Budrio ed il disagio psichico è raccontato in prima persona, ponendolo così a fondamento della ricerca stessa. Simona Vinci ha nutrito la propria innata sensibilità verso la fragilità, confrontandosi con una realtà come quella budriese, da tempo legata in maniera inscindibile alla Cura.
L’inesauribile curiosità ha condotto la scrittrice ad affondare l’anima nella diversità, dedicando moltissimo tempo a delle indagini all’interno di archivi – tra cui quello budriese dell’ASP Donini Damiani – ritrovando elementi importanti per donare nuovamente vita a chi non ha mai potuto vivere liberamente.
Leonardo Arrighi
La copertina del libro.