Amedeo Biavati è un nome magico per gli appassionati di calcio, in particolare per i tifosi del Bologna, che ancora oggi lo ricordano come uno dei giocatori più rappresentativi. Biavati, reso immortale dall’invenzione del “doppio passo”, era figlio di un budriese e ha frequentato in molte occasioni il territorio paterno, incontrando parenti e amici. La Coppa del Mondo, i tre scudetti e i tanti altri trofei vinti da Medeo sono quindi in parte anche legati a Budrio, patria di grandi atleti.
BUDRIO E AMEDEO BIAVATI
I punti di contatto tra Biavati e Budrio sono due: da una parte l’origine del padre Angelo, nato proprio a Budrio il 3 luglio 1885 da una famiglia di braccianti budriesi da molte generazioni; dall’altra la moglie Valentina Buratti, nata a Mezzolara e trasferitasi a Bologna nel 1931. Questi due legami di parentela hanno unito per sempre Amedeo – cugino di don Cadmo Biavati – a Budrio, che lui amava frequentare con costanza. Le imprese sportive di Medeo hanno nutrito i sogni degli appassionati budriesi per molti decenni. Oggi pochi ricordano le origini di Biavati, ma è sufficiente ritornare a qualche decennio fa e tutti i tifosi sapevano bene di poter annoverare tra i propri beniamini uno dei più grandi calciatori della storia: campione del Mondo, d’Europa, d’Italia, inventore del “doppio passo”, ma soprattutto budriese.
LE ORIGINI DI UN CAMPIONE
Amedeo nasce il 4 aprile 1915 a Bologna, più precisamente in via Toscana n. 131. Questo luogo rappresenta l’inizio di un rapporto d’amore senza fine: quello tra Biavati e la maglia rossoblù. A pochi passi dalla casa dove Amedeo emette i primi vagiti sorge il campo di Villa Principe Hercolani, più noto come lo Sterlino, dove il Bologna gioca le partite casalinghe e dove i calciatori si allenano. Il 4 aprile 1915 la squadra cittadina è impegnata in una amichevole con il Vicenza e non appare eccessivo immaginare la gioiosa atmosfera di casa Biavati, allietata anche dalle esultanze dei tifosi, che nei decenni successivi si spelleranno le mani e perderanno la voce davanti alle magie di Amedeo, l’inventore del doppio passo.
Dopo venti giorni dalla nascita del futuro campione, l’Italia fa il suo ingresso nella Iª Guerra Mondiale, avviando un periodo difficilissimo per l’intera popolazione. La famiglia Biavati – composta dal padre Angelo, dalla madre Silvia e dai due figli Francesco e Amedeo – tenta di far fronte alle avversità. Il giovanissimo Medeo (così lo chiamano in famiglia) comincia a forgiare in questi frangenti il proprio spirito di sacrificio, che lo accompagnerà nel corso della vita.
Il ragazzo frequenta le scuole dell’obbligo e poi l’istituto tecnico per geometri, ma la sua grande passione è il calcio. Sin da bambino il padre Angelo non dimentica mai di portarlo con sé allo stadio, oppure agli allenamenti del Bologna. Amedeo diventa amico del custode dello Sterlino e appena può corre ad aiutarlo nella manutenzione del campo, fermandosi poi per ore ad osservare i campioni. I movimenti, i dribbling e i tiri dei fuoriclasse rossoblù ispirano la fantasia di Biavati, che nel 1930 entra a far parte delle giovanili. Dopo anni trascorsi giocando con gli amici ai Giardini Margherita, ora Amedeo può finalmente dimostrare il suo valore. Due anni più tardi il calciatore fa il suo ingresso in prima squadra.
UNA NUOVA STELLA NEL FIRMAMENTO ROSSOBLÙ
Il diciottesimo compleanno (4 aprile 1933) è contraddistinto da una inattesa chiamata da parte del presidente del Bologna FC, che comunica al ragazzo la possibilità di un suo prossimo esordio in serie A. Il 21 maggio 1933 arriva la prima maglia da titolare, in occasione della 24esima giornata di campionato. Biavati stupisce tutti i presenti con una prestazione da veterano, segnata dalla realizzazione di ben due reti. Amedeo resta titolare fino al termine della stagione, inanellando ben 7 presenze consecutive, impreziosite da 5 gol. La carriera sembra in discesa ed invece, complice un anno complicato dell’intera squadra, il bolognese non appare in grado di rispettare le attese. Le assenze prolungate dei fuoriclasse Sansone, Schiavio e il ruolo di mezzala assegnato a Biavati rendono la situazione molto difficile.
L’anno successivo Medeo viene mandato a Catania, in serie B, per fare esperienza. A 1300 km da casa, il giocatore di origine budriese comprende di essere più forte di quanto pensasse: le difficoltà di ambientamento diventano presto un ricordo e il calciatore è protagonista di una annata entusiasmante, che convince il Bologan FC a richiamarlo in prima squadra. Nell’estate 1935 i rossoblù sono affidati all’allenatore ungherese Árpád Weisz, che porterà i felsinei a due scudetti consecutivi e alla vittoria del Torneo Expo Universale di Parigi (1937), creando così «lo squadrone che tremare il mondo fa». Nel corso del primo anno della gestione di Weisz, Biavati non vede quasi mai il campo ma, alla fine dell’estate 1936, nel corso di una partita di allenamento, l’ungherese decide di spostare Amedeo sulla fascia destra (prima aveva sempre giocato al centro). Weisz e i compagni restano senza parole: è nato un fuoriclasse. Nel corso delle settimane seguenti, il calciatore bolognese comincia ad eseguire con costanza il “doppio passo”, la finta che lo renderà immortale. Quel “mulinello” (o “velo”) sul pallone ispira molti giornalisti, spiazza gli avversari e suscita l’ammirazione di Pier Paolo Pasolini, che ha sempre eletto come suo idolo calcistico proprio Biavati. Nel 1937 arriva il primo scudetto, vissuto da protagonista. Nel 1938 giunge la convocazione in nazionale per disputare i campionati del mondo. Amedeo esordisce il 12 giugno in occasione dei quarti di finale contro la Francia padrona di casa. L’ala destra incontra gli spettatori, dispensando assist a Meazza, Piola e Colaussi. Il commissario tecnico Vittorio Pozzo gli assegna una maglia da titolare per la vittoriosa semifinale con il Brasile e per la pirotecnica finale vinta contro l’Ungheria per 4 a 2. Medeo, tremante per l’emozione, può sollevare al cielo la Coppa del Mondo.
L’AMORE PER IL CALCIO, AL DI LÀ DEI RANCORI
Biavati ritorna ad allenarsi con i rossoblù, che continuerà a guidare per un decennio, conquistando altri due scudetti – nel 1938/39 e nel 1940/41 – e la Coppa Alta Italia nel 1946. Il calciatore prende per mano il Bologna FC nel corso dei momenti più duri, rappresentati dalla IIª Guerra Mondiale e da una complicata rifondazione tecnica. All’inizio della stagione 1948/49 Medeo è sostanzialmente posto ai margini del progetto calcistico di Bologna. La storica bandiera, dopo 291 presenze, decide di lasciare i rossoblù, suscitando l’ira del presidente Renato Dall’Ara che, dimostrando una immotivata ingratitudine, impone al giocatore di riscattare il proprio cartellino, versando nelle casse della società ben 500000 lire.
Biavati non smette di giocare: nel corso degli otto abbi successivi cambia molte maglie, ricoprendo anche il ruolo di allenatore-giocatore. La passione per il calcio è così forte da permettere al bolognese di adattarsi con grande facilità alle calanti prestazioni fisiche e alle diverse categorie. Conclusa, nel 1956, la carriera come giocatore, inizia quella da allenatore: del settore giovanile del Bologna FC, del Castel Maggiore, della squadra di Polizia di Tripoli, del Rovereto, della Polisportiva Pontevecchio e del San lazzaro.
La vita di Amedeo Biavati si conclude nel 1979, all’età di 64 anni. Gli ultimi tempi sono allietati da due grandi soddisfazioni: il conferimento della Medaglia d’Oro al Valor Atletico da parte del Coni e dopo alcuni mesi da parte della Presidenza della Repubblica. La possibilità di incontrare nuovamente molti amici rimargina le ferite di Biavati, non sempre rispettato come avrebbe meritato, ma pronto a superare qualsiasi rancore in nome dell’amore per qual pallone rotolante, capace di dare emozioni, a volte doppie come quella finta che ha cambiato per sempre il calcio.
Leonardo Arrighi