Liberare un uomo, Liberare il Paese [25 Aprile]

25 aprile, 2017

liberAndare per mercatini e trovare l’oggetto che non t’aspetti! E’ già successo tante volte, mi racconta un amico: “Pensa che un ungherese ha trovato sulla mia bancarella un libro nella sua lingua madre che da anni cercava nel suo paese”. Quindi, può succedere, ma quello che è strano, è il modo! Un pomeriggio di autunno dell’anno scorso, decisi di andare in via Santo Stefano a Bologna, in modo spensierato, per fotografare, con l’aiuto di un teleobiettivo le tante teste di terracotta di cui si fregia Palazzo Salina in quella via.

Era da tempo che l’avevo in programma e capitò proprio il giorno in cui c’era anche il mercato. Bello, ancora più rilassante! Quale migliore occasione per distrarsi un po’. Non fu così. All’inizio l’esposizione degli ambulanti comincia con una bancarella di libri usati offerti a pochi euro. Il primo libro in bella vista, appoggiato su altri con la copertina rivolta verso chi arriva, mi sembrò che fosse stato messo lì apposta per me. La mia sensazione fu di averne incontrato l’autore nonché il curatore. L’interesse per la fotografia, a quel punto, era svanito.

Il titolo del libro che avevo di fronte era “I limiti dello sviluppo” del 1972 e tratta, come è risaputo, di uno studio sul futuro del pianeta che per anni influenzò le scelte politiche ambientali della mia generazione. Il libro, commissionato dal “Club di Roma”, è un rapporto scritto da scienziati di varie nazionalità, inclusi i premi Nobel dell’epoca. L’argomento trattato è una riflessione sulle risorse limitate del nostro pianeta. Fu un bestseller internazionale, tradotto in trenta lingue, con più di dieci milioni di copie vendute. Il motivo della mia emozione davanti a quel libro, e che subito comprai, non era il suo contenuto, che già conoscevo, ma il constatare che il curatore era Aurelio Peccei, una persona che salvò la vita a mio padre durante l’ultima guerra mondiale, fatto che seppi solo per caso dopo tanto tempo. Ed ecco il fatto.

Un giorno, recandomi all’ospedale di Budrio, trovai mio padre a letto sorpreso e sgomento davanti a una pagina del “Carlino”. La notizia riportava la morte di Aurelio Peccei, con una sua foto che mio padre riconobbe subito. L’articolo illustrava il dinamismo del personaggio e i meriti che la sua fondazione (Club di Roma) aveva avuto e ha tuttora nel divulgare la conoscenza sullo stato del nostro pianeta. Davanti a quella pagina mi disse: “Questa persona, a Torino, mi tirò fuori dalle torture del carcere”. Così quel giorno scoprii che quel personaggio gli salvò la vita e, nel contempo, originò la mia sensibilità ambientale. Conoscevo l’impegno sociale del “Club di Roma”, ma non sapevo che il suo fondatore fosse Aurelio Peccei. Io, che sino ad allora non avevo mai voluto ascoltare le vicissitudini di mio padre durante la guerra, quel giorno fui tutto orecchi. Mio padre, nel ’42, era stato richiamato alle armi per la seconda volta e per presentarsi alla caserma di Torino aveva dovuto svendere l’ albergo che possedeva a Palermo, perché costretto alla chiusura.

Dopo l’8 settembre del ’43 e il conseguente sbandamento dell’esercito italiano, Ciro, mio padre, rimase bloccato in Piemonte a Chiusa San Michele. Per sopravvivere da civile, si adoperò, con impegno, nella riparazione delle scarpe, diventando calzolaio. Una mattina, in un rastrellamento dei tedeschi, fu arrestato e portato nel carcere di Torino. In quel periodo gli uomini abili avevano tre scelte: 1) aderire all’esercito fascista della repubblica di Salò; 2) lavorare per i tedeschi; 3) Andare in montagna con i partigiani. Non c’erano altre vie. Ciro scelse di lavorare in proprio e questo gli costò l’arresto. Lui non era un eroe, non partecipò alla lotta partigiana, ma riparava le scarpe anche ai partigiani e per questo aveva un lasciapassare della “Brigata Garibaldi”. Durante la prigionia, per fargli confessare almeno un nome di qualche partigiano, subì torture di ogni genere: elettrodi in varie parti del corpo (genitali inclusi), finte fucilazioni e surriscaldamento dei piedi mediante un braciere acceso. E’ da sapere che dal carcere di Torino si andava spediti nei campi di concentramento tedeschi. Lui fu fortunato perché tutti gli abitanti di quel paesino si mobilitarono e fecero intervenire un alto dirigente della Fiat, Aurelio Peccei, appunto, noto per avere a cuore le sorti dei partigiani. Il seguito della storia la racconterò più avanti. L’importante è sapere che, in quel particolare momento storico, non si poteva stare alla finestra. Mio padre fu torturato, ma resistette. E venne il giorno della Liberazione! Per lui e per l’intero Paese! Viva il 25 aprile!

Pino Ferranti

Aurelio Peccei, osservatore attento delle risorse limitate del nostro Pianeta.

Aurelio Peccei era un “top manager” della Fiat ai tempi di Valletta e poi braccio destro di Gianni Agnelli per i rapporti internazionali che spaziavano dall’Argentina alla Cina. Era un vulcano di idee e d’insaziabile curiosità. Da attento osservatore, si rivelò un autentico pioniere, decenni prima di altri, su temi che sono ancora di quotidiana attualità: cambiamento climatico, saccheggio della natura, crisi alimentare, inurbamento selvaggio ed esplosione demografica. Sono numerosi i libri che ha scritto su questi argomenti e tradotti per altri paesi: “La qualità umana”, “L’imperialismo dell’auto”, “La società umana oltre il malpasso” ecc. ecc.. Molto apprezzato all’estero e poco conosciuto in patria. Ha lasciato una grande impronta nel mondo e forse è ora che l’Italia riscopra la vita e il pensiero di questo personaggio

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