Inscindibili trame, crisi e cambiamento nella mostra di Nicla Ferrari

12 marzo, 2013

La settimana scorsa, dal 2 al 10 marzo, la Sala Rosa di palazzo Medosi-Fracassati ha ospitato una mostra personale dell’artista Nicla Ferrari in occasione della manifestazione Budriodonna. L’esposizione dal titolo Inscindibili Trame, curata da Cristiano Galassi, comprendeva una ventina di opere pittoriche dell’artista, in particolare volti adolescenti e mani, e un’installazione dedicata al tema della violenza domestica.

La ricerca di questa artista reggiana muove da una carriera nella moda per approdare alla pittura ad olio. La produzione che finora ha contraddistinto il suo lavoro comprende in particolare dipinti di mani, indagate quali veicolo di sentimenti e emozioni. Negli ultimi anni la sua attenzione si è spostata sui volti e sullo studio dell’adolescenza quale fase di transizione e crescita, ma anche di incertezza e paure, che diventa la calzante metafora del periodo storico che stiamo vivendo di forte cambiamento sì, ma anche di crisi, come ci racconta nell’intervista che segue. I suoi oli su tela si distinguono per la qualità tecnica e l’intensità introspettiva, che in alcuni lavori arriva ad essere tormento esistenziale.

L’installazione centrale nella mostra budriese, dal titolo Casa dolce casa, focalizza l’attenzione del visitatore su una tematica purtroppo più attuale di quello che ci saremmo aspettati qualche settimana fa: la violenza domestica che ci ricorda il vero significato della festa della donna. La accompagnavano i ritratti dei figli che la pittrice ha eseguito su lembi del corredo di famiglia. Oltre questi dipinti connessi alla sua indagine sull’adolescenza erano esposti alcuni pezzi della fase di lavoro precedente, legata allo studio delle mani.
Fanno da protagonisti in questa esposizione oggetti quotidiani quali cocci e lenzuola, oggetti di tradizionale pertinenza femminile celebrati come veicolo di antichi valori e vita domestica, che non cadono in banalizzazioni o idilliache visioni di un passato purtroppo trascorso.


In questa esposizione possiamo trovare, mi pare, due anime: l’installazione centrale, dall’ironico titolo ‘Casa dolce casa’ e le opere pittoriche alle pareti che raccontano una ricerca diversa, che parte dalle antiche tele supporto…

Sì, il tessuto è sempre stato molto presente nel mio lavoro, ho lavorato come stilista, attività che non pratico più, e il tessuto ricorre, a volte come materia tangibile che esce dal dipinto o dall’installazione, a volte nella pittura quale materia che si muove sul corpo e, ultimamente, il tessuto diventa la base del dipinto. L’ho potuto fare andando a recuperare le vecchie lenzuola di famiglia. Un paio di anni fa ho spostato l’attenzione da quello che mi interessava in precedenza, cioè i corpi e le mani, la loro espressività e gestualità, e ho inserito nei miei lavori la figura dell’adolescente, un po’ perché i tempi che viviamo sono molto incerti e quindi l’adolescente essendo in una fase transitoria della sua vita esprime, secondo me, molto bene quello che oggi stiamo attraversando. Così i miei due figli, maschio e femmina, sono diventati i protagonisti dei miei lavori insieme a questo patrimonio di famiglia, che sono appunto queste antiche tele.

Collega così in un certo senso il passato a quello che è il futuro, cioè i figli…

Sì, non si può pensare al futuro senza tenere conto di quello che è il passato. E dal passato bisogna recuperare i valori e le cose solide, che ci possono dare un’ossatura per andare avanti, questo è il pensiero che mi ha portata alla realizzazione di queste opere.

A questa serie dovrebbero appartenere due ritratti maschili…

Sì, si tratta dei primi due lavori che ho realizzato con questi tessuti, e ho iniziato con la spaccatura di queste teste. Le figure che dipingevo in precedenza avevano sempre un taglio fotografico e quindi la figura si esauriva nei limiti della tela, mentre qui il soggetto si frammenta, si tratta di un’apertura verso il futuro: l’assorbimento degli stimoli esterni è metafora del volersi mettere in comunicazione.

In altri lavori esposti ricorre la crisalide, un essere in via di trasformazione e quindi incompleto che rimanda alle medesime tematiche.
Le trame sono quello che collega tutto, vuoi per l’inserimento dei tessuti perché sono inscindibili, le ho inserite nella mia opera proprio perché non volevo che andassero perse, e vuoi perché nonostante la compresenza di cicli diversi di lavoro tutti i soggetti sono intrecciati tra di loro, hanno il medesimo filo conduttore.

La recente cronaca del nostro paese, come avrà certamente sentito, ci ha insegnato purtroppo che il tema della violenza domestica è estremamente attuale. È questo il messaggio dell’installazione centrale?

Il messaggio è sicuramente questo, anche se l’installazione era già stata concepita tre mesi fa, la tempistica ci ha portato a far conviverla con un avvenimento terribile qui a Budrio. Si tratta di un concetto di opera che avevo già realizzato anni fa, sempre in concomitanza alla festa della donna, ed è stato realizzato con l’aiuto di tante donne perché quest’ammasso di porcellane, piatti, tazze non proviene tutto dalla mia famiglia: alcune cose sono state donate da amiche e altre da signore di Budrio, avevamo infatti fatto un appello a chi aveva qualcosa da poter inserire in quest’opera. I cocci rotti possono rimandare a momenti non sereni all’interno della famiglia e sono le fondamenta instabili su cui si trova in bilico questa casa. A volte la casa può essere una trappola, sappiamo che accade anche questo purtroppo.

Anche due anni fa lei aveva allestito una mostra per il nostro comune nella chiesa di Sant’Agata, quindi è una collaborazione che continua…

Sì, ho avuto un’accoglienza calorosa sia per questa mostra che per la precedente. L’esposizione di due anni fa ha rappresentato proprio il punto di partenza della mia ricerca verso il mondo giovanile, quindi il cambiamento di attenzione è avvenuto proprio per quella mostra che avevo intitolato Una fragile normalità, mostra come questa curata da Cristiano Galassi. Eravamo nel pieno sbocciare della crisi economica e Una fragile normalità era proprio il titolo di un articolo del Sole 24 Ore e per me è stata occasione per riflettere sul futuro a cui i nostri figli potranno aspirare. Questa mia ricerca è nata a Budrio.

Maria Ludovica Piazzi

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