La storia di un bar è un po’ la storia di un paese, delle sue genti e dei suoi personaggi. Un tempo, molto più di oggi, nel bar si intrecciavano rapporti umani, si fissavano appuntamenti importanti, si stabilivano conoscenze, si tenevano incontri letterari o politici. L’Italia è ricca di caffé storici che ancora oggi vivono della fama acquisita negli anni, a volte addirittura nei secoli… A Firenze c’era il ‘Giubbe Rosse’ che è stato testimone delle più importanti tendenze letterarie ed artistiche, (solo per fare due nomi, i premi Nobel Montale e Quasimodo) e dove i futuristi milanesi capeggiati da Marinetti si azzuffarono con i letterati fiorentini.
A Venezia c‘è il Florian, i cui 300 anni di storia sono trascorsi nelle sue sale e davanti alle sue vetrine, alla presenza di nobiluomini, politici come Silvio Pellico, letterati ed artisti del calibro Carlo Goldoni e Giacomo Casanova; e l’elenco potrebbe proseguire con molti altri esempi… A Bologna ci sono il Caffé Gamberini, in via Ugo Bassi, che è anche la più antica pasticceria della città. Poi c’è il Caffé Zanarini, posto al termine della tradizionale passeggiata sotto il Pavaglione, che dal secondo dopoguerra diventa il locale alla moda per eccellenza.
A Budrio, nel suo piccolo, anche il Caffé Filopanti ha avuto la sua storia.
Fin dai primi del ‘900, due fotografie dell’epoca provenienti dal prezioso archivio Montanari-Pazzaglia lo ritraggono nell’omonima Piazza, intitolato, probabilmente da pochi anni prima, al più emerito personaggio della storia locale, Giuseppe Barilli, il professore dell’infinito, come lo aveva battezzato Garibaldi.
Non è dato a sapere se il Caffé Filopanti esistesse anche prima della sua intitolazione con altro nome; ciò che colpisce delle due fotografie, che appaiono più o meno contemporanee, è la diversa ubicazione del caffè: nella prima, del 1913, il caffè Filopanti occupa le stesse vetrine di oggi, mentre nella seconda la stessa insegna
del caffè è spostata oltre la bottega del barbiere, a testimoniare probabilmente una precedente o successiva gestione.
Quel che avvenne in seguito è invece storia più documentata. Nel 1930 abbiamo appreso da un’inserzione pubblicitaria che era di proprietà di tal Paderni e da lui stesso condotto, che i budriesi ci giocavano a bigliardo, che vi si poteva gustare il miglior caffé di Budrio, anche se trattandosi di un annuncio pubblicitario è difficile averne la certezza, e che era il ritrovo degli artisti del Teatro Consorziale, fiore all’occhiello del paese. Nel ’39 la proprietà della licenza passa ad Alfonso Graldi, proveniente da Castel S. Pietro e titolare di altri locali fiorentini, fino al dopoguerra, per l’esattezza il 24 novembre del 49, quando il più importante bar del paese passa di mano ad una famiglia anch’essa originaria di Castel S. Pietro, quella di Giuseppe Cristiani, col nome di “Caffè di Piazza”. Giuseppe e la moglie Albina si trasferiscono a Budrio e da questo momento le notizie del caffè diventano ancora più dettagliate. Per tanti anni ogni giorno il bar ha servito la colazione direttamente in ufficio a tanti budriesi: impiegati del Comune, dell’Ospedale, dei negozi… e diverse persone non più tanto giovani ricordano ancora Albina in bicicletta con il vassoio in mano a portar caffè e cappuccini. Si apriva ufficialmente alle 5 del mattino e si chiudevano i battenti all’una di notte; e se all’ora di apertura la saracinesca era casualmente ancora chiusa, i primi avventori – gli spazzini comunali tra i quali Spiriòn (l’indimenticabile Mario Sgargi), i fornai e gli operai – andavano a suonare il campanello dell’abitazione dell’Albina in via Cocchi o si fermavano a sedere ai tavolini sul marciapiede nell’attesa che arrivassero i proprietari.
Da ricordare che il bar Cristiani fu il primo in paese a dotarsi di televisore: Rina, moglie di Gino Cristiani, ricorda che andava tanta gente per vedere “Il Musichiere”, “Lascia o Raddoppia”, perché ancora pochissimi avevano il televisore in casa.
Due signore che a quei tempi abitavano a lato del caffè ricordano che appena percepivano le prime note della sigla di “Carosello” si precipitavano nel bar per occupare la prima fila; non potevano poi assolutamente mancare per l’appuntamento settimanale con la trasmissione “Telematch”, uno dei primi programmi televisivi di intrattenimento di grande successo della Rai, andato in onda per ben 78 puntate, trasmesse alla domenica alle 21,15. La prima andò in onda il 6 gennaio 1957, l’ultima il 13 luglio 1958. Da una costola di Telematch sarebbe poi nata la trasmissione “Campanile sera” che approdò per una storica puntata anche nella piazza Filopanti di Budrio.
Il bar aveva anche la licenza per i giochi: nella sala grande c’erano i tavolini per le partite a carte, nell’altra ben due biliardi. D’estate, tavolini e sedie riempivano la piazza Filopanti e la domenica fino a lambire il palazzo Comunale. Naturalmente in quei tempi la piazza era vuota di automobili, si ricorda unicamente sempre in parcheggio la Giardinetta di Fantazzini, il distributore delle bombole di gas, che aveva sia il negozio, sia l’abitazione in Piazza Filopanti.
“Il bar di Cristiani badava molto più al contenuto e meno alla forma…”: era sempre stata questa la filosofia imprenditoriale della famiglia: offrire ai propri clienti la migliore qualità possibile, risparmiando su altre cose, ritenute meno importanti, come gli arredi, ad esempio.
Tant’è vero che l’ambiente conservò fino alla chiusura un arredamento semplice che contribuì a creare quell’atmosfera di vecchie tradizioni bolognesi: all’ingresso un vecchio bancone di formica consumato dagli anni, con un grande specchio alle spalle, qualche mensola con le bottiglie di liquori ben allineate; nella stanza adiacente alcuni tavolini di legno grezzo con le classiche sedie in legno ad angoli arrotondati a cui, negli anni ’70, si aggiunsero un flipper e un telefono a gettoni; in un’altra stanza il gioco del bigliardo. Giuseppe e la moglie Albina saranno ben presto supportati dal figlio Gino, al quale passeranno poi il testimone. Alla fortunata gestione di Gino durata fino al 1984, lasciando il segno nei ricordi dei budriesi, ha indubbiamente contribuito la moglie Rina, infaticabile e valente collaboratrice e, negli ultimi anni, anche le sorelle di Gino: Gemma e Gina.
Ma ogni gestione che si ricordi nel tempo è legata, oltre alle persone che ne hanno fatto da protagonisti, anche ad uno o a più prodotti memorabili. Nel bar di Cristiani, le specialità furono ben più di una sola: innanzitutto il caffé, un’alchimia di aroma, corpo, densità e retrogusto di lunga durata.
Poi l’esclusivo caffè “carioca’’, ricetta segreta che Gino serviva nel bicchiere a calice, di vetro spesso; i più ghiotti lo arricchivano di panna montata. Seguiva l’indimenticabile cioccolata in tazza che la signora Albina preparava in un vecchio bricco di metallo rendendola così densa da far sì che il cucchiaino rimanesse in piedi, ritto, al centro della tazza; contribuiva al tripudio la panna montata con la quale Gino, con grande abbondanza, riempiva a palettate la tazza, superando ogni limite calorico oggi immaginabile; una panna fresca montata, densa e grassa dal gusto pieno, unico.
Per non parlare dei gelati nel quale Gino si perfezionò, partecipando ad un corso professionale a Milano. La formazione professionale non era scontata per quei tempi, ma Gino, dalle doti innate di imprenditore, lo fece per competere con i gelati della famosa Corinna che a Budrio gestiva il chiosco ai giardini di piazza Matteotti. Al termine del corso i partecipanti si dovettero misurare in una competizione nazionale mettendosi alla prova con un tipo di gelato stabilito dalla commissione; nella sezione dedicata al cioccolato Gino si classificò nono su ben quattrocento partecipanti.
Il segreto dei gelati di Gino erano le basi, preparate in famiglia e realizzate rigorosamente con prodotti locali; indimenticabile il gelato di rusticano, golosità più unica che rara. Quando faceva il gelato, Gino si chiudeva in laboratorio e nessuno poteva assistere al rito che quotidianamente si compiva. Ai gelati si aggiungevano le torte di semifreddo, una vera novità a quei tempi nel nostro paese, che divennero un appuntamento fisso sulla tavola dei budriesi nelle grandi occasioni.
Una bevanda davvero esclusiva era il thè espresso, che Gino cominciò a produrre dopo aver fatto eseguire una modifica ad uno dei bracci della macchina da caffè, in modo che l’acqua erogata uscisse dopo essere filtrata attraverso le foglie di tè; la particolarità era che in questo modo il tè veniva sfruttato al massimo e acquisiva un sapore pieno, davvero speciale. Il tè veniva da Livorno, dove, una volta all’anno, insieme a Rina, Gino andava a rifornirsi acquistandone 50 kg.
Gino e Rina, oltre al caffé di piazza, gestirono per molti anni anche la caffetteria del Teatro Consorziale, specie in occasione dei veglioni.
Rina ricorda che, ad un veglione di fine anno in cui venne il maestro Cinico Angelini con la sua orchestra, fece più di duemila caffé nei due angoli bar allestiti, uno nell’atrio del palcoscenico e l’altro nella sala pranzo al secondo piano, proprio dove oggi è alloggiato il Museo Archeologico.
Dal 1984 il bar ha avuto altre due felici gestioni: prima quella dei Menetti, sempre col nome di Caffè di Piazza poi, fino allo scorso anno, quella di Nerio Bergonzoni col nome di Orologio Cafè.
Infine, dal 15 dicembre 2012 il bar della piazza è “ritornato in famiglia”: oggi lo gestiscono i nipoti dei Cristiani, con un obiettivo comune: portare avanti lo spirito di qualità e di servizio al pubblico che ha contraddistinto questo bar fin dalle sue origini.
Maurizia Martelli
Associazione Senza Confini Budrio
Foto: archivio Montanari-Pazzaglia
Sarebbe bello se il caffè riprendesse i
vecchi orari serali… Non dico l’una di notte , ma qualche sera fa alle nove era già chiuso ….
Devo fare i complimenti all’ultima gestione: ottima qualità e ricco buffet per aperitivi! Per quanto riguarda gli orari concordo con Silvia!
Grazie davvero per gli apprezzamenti e i consigli.
Sempre utilissimi per migliorare il servizio e la qualità che ci piace poter offrire.
Durante il fine settimana e il martedì chiudiamo alle 22, e a breve le aperture serali saranno in forte aumento, promesso!
Tanti, tantissimi anni fa (direi una ventina se la memoria non mi inganna), la parte della piazza antistante il bar si trasformava in estate in un bel bar a cielo aperto, con sedie e tavolini e un bel perimetro di siepi a delimitarlo. Sarebbe ancora possibile??? Era così bello…
CUM L’ERA BONA LA BRAZADELA D’LA NONA ALBINA!
Mé a marcòrd al Cafà d’ Piaza cum l’éra una vòlta: a s’andéva a tòr una bébita, al cafà o un zlè e a’s pséva consumér a banc o métres a sédar a un tavlén. In t’la préma sèla a i éra quì chi zughévan al chèrt, e anc in cagli ètar sèl intérni, indu a i éra i bilird.
D’estè i mitévan fòra i tavlén , sòura al marciapì e quèlc dòn anc in ‘t la piaza. Ai éra sampar da lèzar al Carlén e anc l’Unitè, parché al parté comunesta al la mandéva , a so spàis, ai cafà con piò client. Sòura al banc, ban in vesta, a i éra di cabarà con toti al past, cum a i éra in tot i cafà ed Budri: al pareva quèsi che al pastizìr al fos sampar qual! Però dal vòlt a s ’pseva truvèr in piò….cum òia da dir…..una spezialitè: la brazadèla fata in cà! Me, quant la i éra, insam al cafà a’m gustéva una bela fata ed brazadèla, se no l’era difézil c’a tulés una pasta!
La brazadèla l’éra cumpagna una tourta sampliza, murbia, con sòura al sò zocar a vail, c’al paréva nàiv….
Un dé a ‘m vgné in mant ed dmandér a Gino, al barèsta: “A chi oia da fèr i cumpliment par la brazadèla c’l’è acsé bòna?” Propri i cal mumant a i vgné dàntar una sgnòura e Gino al fa: “Le lì cla porta la brazadèla toti al matin.” “Bisogna ca i faga i mi cumpliment”, ai gé a la sgnòura, “la so brazadèla l’è una buntè.” Li la ‘s mité a rédar da la sudisfaziòn e po’ “Par fòrza, la gé, l’è da una vèta ca la fag!” Acsé cla matina lè a imparé che la brazadèla d’la mi claziòn l’éra d’la nona Albina. L’éra una sgnoura d’una zerta eté, pòchi ciàcar, saca, coi cavì gris tiré de drì, a zivòla. La purtéva i cafà a i impieghè dal Cmòun e anc a un quèlc budghèr. Par qual, me deg, in dal cafà la i stéva poc an m’éra mai capitè ed’ vàdarla.
(Un originél clè dvintè budriàis et Akragas era la sua provincia).
S’avì capé chi sòn, a v’ pèg al cafà.
La ciambella non l’ho vista, ma mi è stato servito in modo impeccabile un buon gelato affogato al caffè, però, evviva la brazadela!
Un grande grazie al cliente di Akragas del bel ricordo della nonna Albina e della sua ciambella che per tanti anni ha fatto felici i frequentatori del caffè Cristiani in piazza Filopanti.
In onore e per ringraziarlo ci impegnamo a riprodurre la ciambella casalinga sperando che sia degna erede di quella dell’Albina.
Vi aspettiamo al Caffè Filopanti sabato 1 e domenica 2 giugno per un assaggio d’la brazadèla fata in cà!
(Budriàis d’Akragas t’aspet al bar a tour al cafà!)
L’omaggio alla ciambella della nonna Albina in dialetto bolognese è voluto essere anche un grazie personale alla città di Budrio. Era da tempo che volevo farlo e la cronistoria del Caffè Filopanti me ne ha dato l’occasione. Accolgo con molto piacere l’invito a gustare, dopo tanti anni, un antico sapore. Pensate come sarebbe bello, vista l’intestazione del Caffè, se ogni anno il 20 di Aprile, data di nascita di Filopanti, il Caffè stesso promovesse una camminata diretta al costruendo cippo a Riccardina, dove era la sua casa natale. Partenza ed arrivo dovrebbero essere in Piazza Filopanti, naturalmente. Al ritorno, ad attendere i partecipanti, quale miglior ristoro se non la ciambella di nonna Albina? Credo che i partecipanti sarebbero lieti, in tal modo, di dare il loro contributo per appoggiare l’iniziativa.
Pino Ferranti da Akragas
Pino hai sempre buone idee!
Per incominciare sabato e domenica riproponiamo la ciambella della nonna Albina che potrete assaggiare con il caffè Filopanti, un caffè pensato e creato proprio in onore del nostro grande professore dell’infinito.
Grazie da parte di tutto il Caffè Filopanti.